L’animismo può essere sintetizzato e ridotto a preconcetto. Per quanto semplicistico possa apparire, si intende circoscrivere il campo al sistema di credenze che porta a venerare qualsivoglia oggetto specifico o energia. Essi, seppur inanimati e inorganici, sono ritenuti capaci di agire come esseri spirituali che abitano e pervadono la natura. Dotati di anima e spesso sottoposti a personificazione irrorano una tradizione antichissima, la forma di religione più primitiva.
Molti musicisti assecondano un processo mentale simile, idolatrando i propri strumenti e considerandoli capaci di portare un messaggio o speranza che sia.
Il rock, il blues, il rap e la musica pop hanno trovato dei codici più o meno chiari e stabili. Anche chi veste la maschera dell’ambiguità lo fa lanciando segnali da captare in un dato modo. Ad esempio una chitarra innalzata a divinità e potenza impersonale disperde il relativo carico se si sgancia da un mondo immerso in qualche significato nascosto.
L’animismo scaturiva negli uomini primitivi dal sogno, dove l’uomo entrava in contatto con uno spazio misterioso e denso di immagini lontane. Rifugiandosi in un sapere elitario alcuni riuscivano ad accedere alla ristretta cerchia degli iniziati, mentre un essoterismo privo di riti iniziatori diveniva pubblico nel passare degli anni.
L’ambient di Sean McCann, seppur virando sempre più verso un neoclassicismo melodico e sostanzioso, è qualcosa che rientra nel nostro preconcetto iniziale.
Una forma senza apparente sostanza, ma composta da suoni eterei che lasciano l’ascoltatore davanti ad una scelta obbligata: abbandonare la logica deduttiva. Assecondare il ritmo è l’unica speranza di sviluppare le capacità necessarie per garantire l’accesso completo al flusso sonoro.
“Ten Impressions for Piano & Strings” giace sul fondo di un mare che sprofonda in un abisso senza un fine ben visibile, si può scendere e anche di molto. L’artista continua sulla strada intrapresa con il precedente “Music for Private Ensemble”, coniugando droni – sempre meno – ed affascinanti arrangiamenti.
In una delle poche interviste McCann ha spiegato: In the past, I never set limits or rules pertaining to my music. I would instinctually add track after track of any/every instrument, process it all with questionable effects, and hope that it turned out with some semblance of my overall vision“. Un suono che sembra in grado di auto riprodursi dalle rocce, un sibilo nelle nebbie e alcuni archi che fanno capolino mentre la luce si fa spazio tra i banchi umidi, compatti e grigi. Tutto si riconduce alle dieci impressioni che danno il titolo alla composizione.
Il pianoforte finale del pezzo che apre il disco, “White Stairwell (Prelude)”, introduce un susseguirsi di ascensioni tipiche dell’ambient classico. La mente viaggia come in un sogno, anche se le sensazioni sviluppatesi dalla musica sono tangibili nella natura circostante.
“Iodine” dispiega un vento che sferza il mare prima della tempesta vera e propria, una melodia classica e screziata dalle distorsioni. “Language Of Night” dilata le note di piano in un ritmo poco marcato, che si lascia trascinare da corde acute. L’alba arriva ricreando le condizioni di un nuovo rito, “Sense Of Life” – titolo lievemente impegnativo – è un sunto di ciò che possiamo trovare nelle dieci tracce. La tensione emotiva ricade nel primitivismo, lo strumento e la forma si spengono lentamente lasciando il campo ad una belva feroce che cerca un dialogo con la natura, la luce e la morte.
Sean McCann non è mai stato uno sprovveduto, se manterrà queste premesse il prossimo LP sarà un capolavoro assoluto.