Telespazio è certo un nome figo ma, per non fermarsi ad una lettura superficiale, scoprire che è l’alias con cui sceglie finalmente di esordire in solitaria uno dei producer italiani più talentuosi (come già dimostrato col progetto Clap Rules, assai apprezzato anche all’ultimo RoBOt) è cosa ancor più interessante: Fabrizio Mammarella è in giro oramai da una decina d’anni, ma la sua visione elettronica, tra liquidi sentori stinsoniani e baleariche memorie italo, continua ad appassionare. Normale dunque che per questo debutto firmato Telespazio si muova una label sempre attenta, nella scelta dei lavori da pubblicare e soprattutto nel curare la lavorazione degli stessi, l’emiliana Hell Yeah Recordings.
Nella mezz’ora appena abbondante di questo eponimo esordio si entra tramite l’essenzialità electro-funk di “Barrier”, prima tappa di un viaggio che è tanto semplice quanto azzeccato definire galattico: “In Motion” suona infatti come dei Drexciya in cui il nulla cosmico ha sostituito i riverberi subacquei, mentre “Nuvolari” non ha nulla in comune con Dalla ma è un altro pezzo di irresistibile psichedelia techno.
Si conclude qui quella che possiam identificare come una prima parte dell’opera, mentre i due successivi episodi ambient rappresentano una breve pausa prima dell’affondo finale, meno influenzato da un gusto seventies, ma decisamente più massiccio e fisico: “Rays” è ancora abbastanza morbida e suadente, ma il dittico finale suona davvero come una cazzo di picchiata nell’atmosfera incandescente e cupa di un qualche pianeta sconosciuto.
Roba preziosa è contenuta in questo primo vero disco firmato Telespazio: una testimonianza granitica, eppure mai pesante, dello stile e del pensiero di Fabrizia Mammarella.