Gli Swervedriver sono sempre stati uno strano animale. Difficili da classificare, sono passati dall’essere la next big thing dell’alternative rock inglese tra fine anni ottanta e i primi novanta, grazie a due ottimi album come “Raise” e “Mezcal Head”, ad eterne promesse sempre sul punto di sbocciare con “Ejector Seat Reservation” (disco che avrebbe potuto avere ben più fortuna) per poi saltare abilmente sul treno dello shoegaze più melodico di “99th Dream”. Poi basta, i musicisti hanno preso strade diverse e il frontman Adam Franklin si è tenuto impegnato con diverse band (i Toshack Highway e gli Adam Franklin & Bolts of Melody tra le altre) e con una prolifica carriera solista. Fino al 2008 quando, sorprendendo un po’ tutti e anticipando l’attuale ondata di nostalgiche reunion di band nineties, gli Swervedriver si sono rimessi insieme per far concerti. E ora arriva anche un nuovo disco, questo “I Wasn’t Born To Lose You”. Il primo in sedici anni.
Il centesimo sogno degli Swervedriver suona un po’ come un greatest hits, che prova a mettere insieme tutte le loro anime. La band di Oxford non si risparmia insomma, pronta a dimostrare di esserci ancora anche nel nuovo millennio. E’ un disco dalla doppia faccia, “I Wasn’t Born To Lose You”: malinconico e grintoso, indolente come quei piedi mollemente appoggiati contro il finestrino della macchina che si vedono in copertina ma anche capace di graffiare. Adam Franklin ha sempre saputo scrivere melodie accattivanti e dimostra di saperlo ancora fare, e bene, in “Last Rites”, “English Subtitles” e “Deep Wound”. Ma il meglio lui e suoi Swervedriver lo danno quando alzano il ritmo (“Red Queen Arms Race”) flirtano con la psichedelia (“Lone Star”) e costruiscono muri di suono à la My Bloody Valentine (“I Wonder?”) allontanandosi da atmosfere rarefatte che forse non gli sono mai appartenute più di tanto (atmosfere che comunque tornano ad evocare nelle varie “Autodidact”, “For A Day Like Tomorrow”, “Setting Sun” e in “Everso” che tra queste è la più riuscita).
C’è sempre stata l’impressione che l’etichetta shoegaze andasse stretta agli Swervedriver e che ci giocassero un po’ per convenienza, ma senza crederci veramente. Loro sono sempre stati un po’ più dark, un po’ più rumorosi, un po’ più heavy degli altri. Troppo heavy per essere veramente shoegaze, troppo melodici per essere considerarti alternativi sul serio diceva qualcuno. Oggi, forse, non è più così importante. “I Wasn’t Born To Lose You” è un po’ il secondo capitolo di “99th Dream” ma ancora più carino e aggraziato. Non ispirato come “Raise” o riuscito come “Mezcal Head”, ma resta comunque un ascolto piacevole. E poi, in un periodo ricco di reunion più o meno impreviste (dai Ride agli Slowdive) Adam Franklin e soci non potevano, nè volevano, certo mancare all’appello.
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