E’ ufficiale: i fratellini Eoin e Rory Loveless son tornati a far danni. Dopo aver metabolizzato il successo piuttosto inaspettato dell’esordio, che si chiamava semplicemente “Drenge”, ci riprovano con questo “Undertow”. Squadra che vince non si cambia, si dice, e infatti i due Loveless tornano ad affidarsi al produttore Ross Orton (uno che ha lavorato con gli Arctic Monkeys, con Richard Hawley e con Jarvis Cocker giusto per fare qualche nome). In “Undertow” Eoin e Rory si avvalgono anche dell’aiuto di un nuovo acquisto però: il bassista Ron Graham. I Drenge sono diventati un trio quindi, ma la musica che fanno non è cambiata di una virgola.
Radicata saldamente negli anni novanta, sfrontata, trasuda rabbia adolescenziale da ogni nota. Una rabbia feroce e impotente, come quella di tutti i teenager che si rispettino. Eoin e Rory non sono più tanto ragazzini (almeno all’anagrafe) ma quelle sensazioni se le ricordano benissimo e ne fanno tesoro. “Introduction”, col suo minuto di minaccioso rumore, non deve ingannare. I Drenge sono e restano quelli di prima. In grado di mettere insieme riff taglienti e ritmi sfrenati con qualche ritornello accattivante. L’ABC del rock n roll insomma. E i due Loveless hanno studiato bene la lezione.
Non brillano per originalità ma si ascoltano con piacere, sia quando premono il piede sull’acceleratore ( “The Snake”, “Side By Side” , “We Can Do What We Want”) sia quando fanno i gotici (“The Woods”, “Running Wild”) o giocano col romanticismo più acido (“Standing In The Cold”). Sanno il fatto loro e lo dimostrano con lo strumentale che dà il titolo a questo secondo lavoro, che è anche la canzone con lo sviluppo più interessante di tutto il disco. Magari sarà musica per nostalgici, quella dei Drenge. Ma i trentasette minuti e spiccioli di “Undertow” filano via lisci come l’olio. Straight, No Chaser Rock N Roll. E va bene così.