Rectify è una delle mie serie televisive preferite: deve essere perchè è ambientata nel sud degli Stati Uniti, deve essere perchè ci sono gli sceriffi e succedono cose inspiegabili, degne del miglior southern gothic ““ ma soprattutto perchè una serie tv di grande tensione spirituale: la colpa, la pena, l’espiazione. In una delle prime puntate, il protagonista si fa battezzare in una piscina, qualcuno cita Giovanni Battista, io penso ““ oggi, s’intende ““ a come “New Skin” sarebbe stata una scelta perfetta per quel momento. “And wrapped me in this new skin I’m dying for”: all’esicasmo “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, peccatore” che una ragazza di New York ripeteva distesa sul suo divano, Torres risponerebbe “you’ll find me right where I fell”.
Cresciuta in un ambiente molto religioso, con le domeniche a messa e i mercatini di beneficenza impregnati della fede solida della tua congregazione, Mackenzie Scott canta di essere nuda e distesa on the airtight floor e di come si impara a indossare una nuova pelle: è in egual misura emancipazione e una di quelle pratiche di resurrezione che stanno tra la Pasqua e lo spiritualismo orientale. A child of God. D’altronde, la primavera si applica bene a tutte queste versioni di sè.
Dopo un esordio davvero notevole ““ “Honey” suona esattamente come dovrebbe suonare la canzone di una ragazza con vent’anni e il cuore spezzato ““ la musicista del Tennessee torna con un nuovo album dal suono più pieno, con una produzione più curata e con la stessa sicurezza di aver qualcosa da dire. Se si prenda troppo sul serio, come quando dice che a ventitrè anni è già una donna stanca non so, ma di sicuro merita continuare a seguire la sua parabola ascendente per vedere a quali altezze può portare, e se non arriveremo tanto in alto, pazienza: già “Sprinter” è un buon album.
La rabbia giovane di questa ragazza che si decolora i capelli racconta di come si imparano a filtrare gli anni ’90 e il grunge attraverso la sensibilità di chi quei dischi se li è andati a ripescare anni dopo, di chi non ha vissuto una stagione, ma è come se lo avesse fatto: non so se Torres ami che si richiami continuamente la PJ Harvey di “Dry” quando si parla di lei, ma al suo posto non me ne dispiacerei poi troppo. Meno incisiva, certo, di Polly Jean, Torres va ad ampliare le sfumature di una casella che qualcuno ha già disegnato prima lei, ma con la capacità di smarcarsi dalle protezioni: che lei e Sharon Van Etten si siano incontrate, che la musicista del New Jersey registri con lei una versione splendida di “New Skin” è solo un piacere, ma a Torres piace provare a camminare da sola, anche quando i risultati forse ““ e dispiace ““ potevano essere migliori. “Ferris wheel”, “Cowboy guilt”, “The harshest light”: sono tutti buoni pezzi ““ come lo era la maggior parte del precedente self titled ““ e se ancora sono meno indimenticabili di quanto ci si aspetta, è questione di tempo. Va detto questo però: che Torres ha il coraggio di tentare una via che sembra già satura, già detta, ma con scarti inaspettati. Questo non è un album pieno di canzoni d’amore e di risentimento: è un album cupo, arrabbiato e che parla di Gesù Cristo, di morte e di madri senza chiedere il vostro permesso. Così in “The exchange” canta “Mother, father, I’m underwater, and I don’t think you can pull me out of this”: Mackenzie Scott ce la farà da sola, abbiate fiducia. Ne è sicura.
Photo Credit: Ashley Connor