Con il secondo album fresco di uscita il romagnolo Enrico Farnedi si appresta a vivere un’estate ricca di impegni, l’abbiamo dunque raggiunto telematicamente (una cosa un po’ assurda, considerato che siamo pure conterranei, anche se ora ci divide un migliaio abbondante di chilometri) per farci raccontare non solo la genesi dell’eccellente “Auguri Alberta”, ma anche per parlare della sua esperienza di musicista, della Romagna e del suo panorama musicale.
Ciao Enrico, come sta andando “Auguri Alberta”?
Alberta sta andando meglio di quel che credessi, finora ho avuto solo responsi positivi, per cui non mi lamento.
Questo fa molto piacere anche a noi, ma prima di approfondire l’album e il lavoro dietro allo stesso, vorrei che tu ci raccontassi un po’ di te, di come sei arrivato alla carriera solista.
Bisogna tornare molto indietro. Io ormai son professionista da più di venti anni: il primo ingaggio grosso fu con l’orchestra Castellina–Pasi, un anno di sale da ballo furioso, più di duecento serate. Lì ho anche avuto il mio debutto come intrattenitore: il trombettista che sostituito faceva anche da presentatore, quindi mi toccò anche quel ruolo.
Quindi tu nasci musicalmente come trombettista.
Mi sono diplomato in conservatorio con tutta la trafila, poi ho anche studiato composizione, sono laureato in musica jazz, sempre in conservatorio. E mi occupo di arrangiamenti da sempre.
Comunque dal ’97 suono con i Good Fellas, di cui sono anche l’arrangiatore principale: insieme abbiamo fatto tantissime cose, concerti, tour europei, teatro (soprattutto cabaret, con Aldo, Giovanni e Giacomo, Paolo Cevoli, Cochi e Renato e altri) e abbiamo accompagnato tanti grandi artisti del rhythm’n’blues e rock and roll; l’ultimo, l’anno scorso, Ben E. King, l’autore di “Stand By Me”. Nel frattempo ho continuato anche a collaborare con altri gruppi o artisti, dai Quintorigo a Lo Stato Sociale, da Franà§oise Hardy ai Sacri Cuori, passando per L’Orso. Ogni tanto m’incrocio con la Garrincha Dischi, ma sono abbastanza trasversale: con la tromba ho suonato di tutto, dal jazz al liscio, poi rock, blues, dance, cantautori, pop patinato, canzoni per bambini…
In mezzo a tutto ciò quando hai intrapreso la carriera solista?
I primi, timidi, risalgono tentativi di suonare brani miei con un gruppo simil-country in cui io ero il bassista e e cantante al 2000, tosto abbandonati per pigrizia. Poi, nel 2006, mi sono comprato un ukulele da trentadue euro, uno dei primi che avessi visto in un negozio. Ero a Genova in tour con Cochi e Renato, quello deve avermi fatto scattare qualcosa: per mesi ne sono stato schiavo, mi è anche venuta la tendinite, e ho cominciato a scrivere brani strumentali e canzoni.
Poi l’Istituto Barlumen, ovvero Marco Drago e Gaetano Cappa (autori di programmi radio e anche produttori discografici) mi hanno invitato a partecipare a “UkeIt vol.1”, una raccolta in cui diversi artisti italiani suonavano l’ukulele: era il 2008, loro mi han fatto capire che le mie canzoni avevano senso. Poi nel 2010 è uscito il mio primo disco: avevo fatto ascoltare una serie di demo fatte in cantina a Francesco Giampaoli, di Brutture Moderne (l’etichetta che ha poi stampato i miei dischi) e lui ha deciso di pubblicarle così com’erano, con pochissime modifiche. Forse l’ukulele mi ha aiutato a trovare la mia voce. è una cosa strana, dopo tanti anni da professionista, cominciare a scrivere alla soglia dei trentasei.
Arriviamo così ad “Auguri Alberta”, il tuo secondo album.
Sì, il primo è “Ho Lasciato Tutto Acceso”, nel 2010, poi c’è stato un ep in vinile, “Respira Bene!”, nel 2013.
Cinque anni non sono pochi nel mercato discografico: cos’è cambiato per te nel frattempo?
Ho preso maggior confidenza nelle mie capacità di autore di canzoni, ho conosciuto un sacco di gente nuova grazie al primo disco e, praticamente, adesso ho una band che prima non avevo
e che mi ha aiutato a suonare “Auguri Alberta”.
Si sente: al di là del brano così intitolato, il disco è decisamente “rocchenròl”.
Sì. Ho suonato un sacco di cose anche qua, tipo qualche batteria, la chitarra e le tastiere, oltre ai soliti ukulele e tromba, però si sente che c’è la mano di altre persone: volevo fare un disco estroverso, da ascoltare in macchina a volume altissimo.
Hai detto di volere un disco entusiasmante e carico, ti va però di spiegare, di raccontare come nasce “Auguri Alberta”?
è un disco sulle persone che cambiano o che stanno per farlo, anche se non c’è stata premeditazione è uscito fuori una sorta di filo conduttore fra i brani: Alberta è Alberta Tedioli, una signora di un piccolo comune della provincia di Forlì, che da operaia è diventata impiegata, infine libraia antiquaria e scrittrice. Mi è parsa abbastanza emblematica sulla tematica del cambiamento,
del rendersi conto che non bisogna necessariamente adeguarsi a ciò che ci riserva la vita.
Per i testi ho collaborato con la mia compagna Chiara Benzi, mentre sul disco suonano i musicisti che mi accompagnano anche dal vivo (Marco Bovi, Mauro Gazzoni, Lorenzo Gasperoni e Riccardo Lolli) più vari ospiti, dallo stesso Giampaoli di Bruttere Moderne a Marco Zanotti della Classica Orchestra Afrobeat, ad Andrea e Gionata Costa dei Quintorigo.
Hai fatto nomi di musicista che provengono, quasi tutti, dalla Romagna: mi piacerebbe chiederti quanto il tuo disco si può inserire in una dimensione di “musica romagnola”. Mi spiego meglio: dai Mazapegul in avanti, tra le zone di San Piero e Cesena, è individuabile un itinerario musicale, che col tempo è andato ripetendosi, ma che è caratterizzato da un mix di americana e Balcani, liscio e Mediterraneo.
In effetti, a suonare nel disco siamo quasi tutti romagnoli, però no: “Auguri Alberta” non rientra in quel genere, che è un po’ un’eredità del Tom Waits anni settanta. A me interessano altre cose, dal punto di vista musicale (The Band, Lucio Dalla, Tom Petty, Wilco, Waren Zevon, Randy Newman, Jackson Browne…), mentre dal punto di vista dei testi non so bene se derivo da qualcuno, forse più da Gianni Rodari e Kurt Vonnegut che da un cantautore.
Ho suonato anni fa in una band che si chiamava CaffèSportOrchestra che probabilmente si avvicinava di più a quel discorso.
Hai fatto il nome di Dalla e, da qui, prendiamo spunto: secondo me, c’è tutto un gruppo di cantautori che, senza nulla di programmato, si può definire di cantautori surrealisti;
Dalla e De Gregori (penso specialmente a al disco “Buffalo Bill”) mi sembrano un po’ i capostipiti di questa corrente, che mi pare avere adesso in Alberto Fiori uno dei suoi esponenti più forti. Anche il tuo lavoro credo si possa inserire in questa dimensione.
Può darsi. Si sicuro Dalla è stato il cantautore che ho amato e conosciuto di più (forse perchè piaceva alla mia mamma): è un musicista dionisiaco, con una percezione di sè affatto, sacrale. Serissimo sul lavoro, ma non serioso.
è, insieme a Piero Umiliani, l’artista italiano che preferisco.
Con Umiliani ci ho suonato una volta: suonavo con Sam Paglia ai tempi, lo abbiamo accompagnato per un concerto a Cesenatico, prima ancora di sentirci suonare era convinto che fossimo degli incompetenti, però poi fu una bella serata: suonai la tromba ed anche il basso.
Torniamo brevemente al discorso cantautori che abbiamo sfiorato precedentemente: c’è qualcuno con cui ti trovi affine attualmente?
Ho sentito il disco di Flavio Giurato, “La Scomparsa di Majorana”: non c’entra nulla con le mie cose, ma mi è molto piaciuto. Ma sono molto poco aggiornato sulla scena musicale italiana: sono arrivato a quell’età in cui riascolto sempre gli stessi 30 dischi. E li ricompro.
Ci sono gruppi o artisti della zona nostra che ti piacciono?
Mi piace molto Riccardo Lolli. So che dire che mi piace molto uno che suona con me sa di marchetta, ma il suo disco è qualcosa di grande, secondo me.
Il tuo è un caso abbastanza atipico: tu sei musicista di professione, ma in tutto questo i tuoi dischi solisti quanto sono centrali?
Non ho mai fatto altro dall’età di vent’anni, circa: suono, scrivo, arrangio, registro. I dischi solisti sono, attualmente, la cosa che mi interessa sopra a ogni altra: quando non sono in giro a suonare, sono costantemente al lavoro sulla promozione del disco e dei miei live… E poi butto giù canzoni nuove. Comunque non potrei permettermi di fare solo il cantautore e non credo neanche che vorrei fare solo quello: mi piace prendere strade diverse e collaborare con gente nuova.