A vent’anni esatti dell’esordio “Leftism” ritornano i Leftfield, dopo un lunghissimo silenzio (il successivo e ultimo “Rhythm and Stealth” uscì nel ’99): sedici anni in cui il mondo dell’elettronica è cambiato drasticamente più e più volte e che ha reso il due inglese un nome storico, complici quei due album, diversi ma entrambi giganteschi, che hanno forgiato sound e immaginari di un decennio.
è un piacere quindi ritrovarli in attività , anche se questa volta al timone c’è il solo Neil Barnes: i dieci brani di “Alternative Light Source” riportano sì con la mente agli anni novanta ovviamente, a quel grandioso mix di stili elettronici che li ha resi parte di una trinità quasi sacra (insieme a loro Underworld e Chemical Brothers), ma non c’è alcun sentore nostalgico e nessun furbo tentativo di accodarsi alle mode del momento; la consueta enfasi progressive-house si fonde con ritmi techno (la distorta “Little Fish”), incursioni ambient (“Dark Matters”) e feauturing preziosi (su tutti quelli di Tunde Adebimpe nell’iniziale “Bad Radio”, che suona esattamente come una versione dancefloor dei TV On The Radio, e degli Sleaford Mods in “Heads and Shoulders”, traccia che ci riporta direttamente ad una delle altre grandi collaborazioni dei Leftfield, quella con il reduce punk John Lydon nella mega-hit “Open Up”). Niente di nuovo sotto il cielo, certo, ma tutto è perfettamente amalgamato, tutto è così efficace, strabiliante ed insieme familiare.
In un periodo di riscoperta nineties, il ritorno del nome Leftfield, in questa forma davvero splendente, è quanto di più gradito il 2015 potesse regalarci.