Ho sempre avuto l’impressione che il collettivo norvegese dei Jaga Jazzist non abbia mai ricevuto l’attenzione, le lodi e la stima che in realtà avrebbe meritato: qualcosa del genere, effettivamente, è successo pure col nuovo ed inaspettato “Starfire”, disco che arriva a ben cinque anni dal suo predecessore, l’ottimo “One-Armed Bandit”. Le coordinate soniche paiono però differenziarsi leggermente dall’ultimo lavoro in studio, in favore di un ritorno al sound degli esordi, quel mix di tentazioni post-rock (dalle parti dei Tortoise più progressivi) e inventiva electro-jazz.
Proprio di progressive si potrebbe parlare guardando la scaletta dell’album, cinque suite strumentali che viaggiano da sei a quasi quindici minuti: rispetto al passato è infatti forte e prepotente la sensazione di avvicinamento al jazz-rock più bollente, ma l’attitudine è la solita, giocosa e aperta alle contaminazioni, ricca di incursioni nell’elettronica (come dimostra anche il remix di Oban, affidato alla sapiente mano del connazionale Todd Terje).
Con vent’anni di onorata carriera alle spalle, con quell’atteggiamento schivo di chi prosegue indifferentemente per la propria strada, i Jaga Jazzist hanno sfornato uno dei migliori album della loro carriera, capace di riassumere al meglio il passato della formazione norvegese e le attuali fascinazioni dell’universo elettronico.
Credit Foto: Anthony P. Huus