In una Swinging London albeggiante ma posticipata da un bianco e nero glaciale, Joseph Losey realizza il primo film della trilogia, sceneggiata dal premio nobel Harold Pinter (tratto da un romanzo di Robin Maugham); e che sarà seguita da “l’Incidente” (1966) e da “Messaggero d’amore” (1971).
La trama comincia a schiudersi con un cameriere Hugo Barrett (Dirk Bogarde in una delle sue migliori interpretazioni insieme a “Morte a Venezia”) che viene preso a servizio dal nobile rampollo Tony Mounset (James Fox).
Barrett non tarderà a intuire la debole indole del suo nuovo padrone e sgretolerà a poco a poco la sua lignea posizione dominante, sovvertendola; e coinvolgendo nel gioco la sua amante Vera (Sarah Miles), che farà passare per sua sorella.
Con i toni surreali di una fiaba nera, Losey mette in scena un’ allegoria del costume inglese, fotografando non solo la marcescente ruling class ma anticipando, di qualche anno, il tema della disillusione sessantottina del cambiamento sociale.
In un continuo ossimoro espressivo fatto di facce accondiscendenti e intenzioni perverse, il film trova la sua forma nell’immensa cifra stilistica del regista; che allestisce, come palco di scena, un contenitore angusto e spigoloso.
I protagonisti risultano essere infatti, come schiacciati nelle inquadrature; compressi tra rampe di scale e ante delle porte, fino ad essere deformati nella loro immagine riflessa attraverso gli specchi.
è proprio indugiando con la macchina da presa su questi ultimi che viene palesato quello che risulta essere lo iato, tra la posizione socialmente accettata e di successo del giovane padroncino e la sua immagine riflessa al negativo; che lo rappresenta invece come una marionetta dai fili spezzati, in attesa di un colpo di vento, che gli dia una qualsiasi direzione ma che non lo renda in nessun modo artefice del proprio destino.
Esemplificativo in tal senso è il punto di rottura a cui Tony è portato, dopo aver scoperto che la sorella di Barrett, che era diventata nel frattempo la sua amante, era in realtà legata sentimentalmente al “servo”, il quale la aveva spinta a concedersi a lui per minarne ancora di più l’esistenza.
Da li in poi, svuotato dell’unica parte pulsante e verosimile che aveva mai avuto nella propria vita, comincerà a discendere in un girone dantesco fatto di alcol e laudano, estinguendo così ogni inibizione residua alla corruzione della carne; fino a regredire in uno stato quasi bambinesco e di totale dipendenza dalle malefatte del suo cameriere.
Con una corrosiva critica alla società borghese Losey, amplia inoltre il discorso anche all’impulso freudiano di esercitare il potere sugli altri, come se fosse possibile essere padroni di qualcosa solo nei limiti in cui si è padroni di qualcuno.
Wide Screen: come in pittura si definiscono colori primari quelli che non si possono ottenere dalla commistione di altri colori, ma dalla cui combinazionesi può ricavare ogni altro colore; in questa rubrica parleremo di film unici e fondamentali, che costituiscono la matrice perduta della settima arte.