Dalla Scozia con la giusta mentalità .
Basterebbe così poco per descrivere la curva ascendente dei Chvrches, giunti ora al secondo album e già  pronti per arrivare ovunque. Si intitola “Every Open Eye” ed è uscito lo scorso 25 settembre per Glassnote Records.

Dopo il debutto di due anni fa con “The Bones of What You Believe”, il trio di Glasgow è tornato con un disco incredibilmente fresco e immediato, che difficilmente può rimanere indigesto. Il merito è soprattutto di alcune caratteristiche intrinseche al progetto, tra cui spicca un’attitudine a produrre musica di qualità  adatta anche ad un ascolto meno attento. La band non vuole auto incensarsi e di si è chiusa in paranoie per complicare la propria musica e renderla meno genuina e autentica.
Non c’è niente di male nel creare una musica inevitabilmente gradevole, tantomeno quando il risultato è una produzione di qualità  e frutto di un progetto coerente, come appunto è quello dei Chvrches.

Chiusi nel loro studio casalingo per 5 mesi, i Chvrches hanno prodotto un lavoro di 11 tracce, oggettivamente ben strutturato ed equilibrato, in cui però i brani migliori sono opposti ai singoli che lo hanno anticipato.
A luglio era arrivato il primo assaggio con “Leave a Trace”, una canzone nata per fare da apripista, ma forse troppo leggera in confronto all’energia dell’intero lavoro. Poi c’è stata “Never Ending Circles”, la traccia d’apertura dell’album, sfruttata come secondo singolo e caratterizzata da sonorità  più vicine al mood espressivo del disco.
Le vere bellezze di “Every Open Eye” sono tutte all’interno, come Clearest Blue, probabilmente uno dei migliori brani, terzo singolo estratto e decisamente un inno vicino a tutto ciò che di bello ci è rimasto degli anni ’80. Un climax e un tema a cui difficilmente si può resistere.
Bury It può sembrare pop dozzinale, ma è soltanto un’impressione, perchè la voce di Laureen Mayberry è perfetta per il pop più radiofonico, mentre il sound complessivo dei Chvrches rema nella direzione dell’elettronica più sperimentale. Questa caratteristica si nota in tutta la loro produzione, e in questo album spicca in Down Side of Me e Playing Dead.

Le liriche sono in generale fresche e sempre ben centrate all’interno delle linee melodiche. Nulla è forzato, e nulla stona.
Neanche la parentesi “High Enough to Carry You Over” dove la voce principale è quella maschile, precisamente di Martin Doherty.
Si è parlato di sonorità  fortemente influenzate dagli anni 80 e 90, ed ecco che i brani migliori attingono a piene mani da quel panorama. Dalla carica di Blondie alla capacità  dei Depeche Mode di inserirsi nella memoria dell’ascoltatore con melodie impeccabili.
Impossibile? Ascoltate “Make Them Gold” ed “Empty Treat”, le due punte di diamante dell’album, incredibilmente escluse dalla scelta dei primi singoli. Prima che il disco si fermi, rimane “Afterglow,” il brano più sognante e forse il più travagliato nella scrittura.

Se pensate anche voi che il pop è bello quando dura poco e colpisce forte, qui trovate il miglior elettro-pop sulla scena.
Il primo album dei Chvrches si era fatto notare, senza dubbio, ma il trio è riuscito a sfornare un secondo disco all’altezza delle aspettative.