I New Order dopo la rivoluzione interna del 2007, che ha portato al divorzio con lo storico bassista e fondatore Peter Hook, sembravano non avessero più molto da dire. Era difficile vedere la luce di un possibile ritorno ai livelli a cui la band ci aveva abituato, alla fine di un tunnel tappezzato di astio e acredine come quello in cui sembravano esser finiti i mancuniani.
Ma le previsioni sono fatte per essere regolarmente smentite, a meno che non abbiate un almanacco musicale proveniente dal futuro portatovi in Delorean. E menomale, aggiungo io. Ci perderemmo quell’attimo di estasi misto a stupore/meraviglia che c’è subito dopo la fine del primo ascolto di questo disco. Si perchè dalla spaccatura nel cemento che aveva circondato il futuro della band è nata un’orchidea.
Nel 2011 Bernard Sumner decide che non può finire così, forse tutto non è stato detto e suonato. A colmare il vuoto al basso lasciato dall’uscita di Hook, Sumner chiama Tom Chapman, già bassista dei Bad Lieutenant, progetto parallelo dello stesso Sumner. Il compito a cui è chiamato Chapman non è semplice. Sostituire uno dei fondatori dei Joy Division prima e dei New Order poi non è una di quelle imprese da classificare sotto la voce “‘passeggiata’. Un sound quello di Hook che è un marchio di fabbrica, che permette di riconoscere una traccia dei New Order dopo i primi secondi di ascolto. C’è però un ritorno da registrare nella formazione, quello di Gillian Gilbert alle tastiere, che si era vista costretta ad abbandonare le scene per prendersi cura di se stessa.
Insomma il cammino di questo disco non inizia su solide basi di sicurezza, ma anzi su dubbi e esperimenti da collaudare.
La band si esibisce in diversi live e il riscontro del pubblico è tutt’altro che freddo: in queste occasioni le scalette sono formate dalle più classiche delle hit, e Sumner sembra voler qualcosa in più. I New Order non possono diventare una revival band, che fa musica per tour promozionali o in occasione dell’uscita di cofanetti e riedizioni di vecchi dischi.
Cosa aspettarsi da un disco dei New Order del 2015? Una domanda senza soluzione. L’unica cosa che avrebbe senso visto l’ambiente e le condizioni in cui questo nuovo album sta nascendo è non perdere l’occasione per un cambiamento.
“Music Complete” è l’album che dai New Order non t’aspetti. Neanche se sei uno dei loro più antichi sostenitori. Può riportare per certi versi a qualcosa di già sperimentato dal gruppo nel 1989 con “Technique”, l’album più dance degli otto che precedono “Music Complete”. Quello che diede agli inglesi le chiavi di Ibiza in quell’anno. Come all’epoca, l’unione tra elemento analogico (chitarra, basso, batteria) viene sposato all’uso massicio dell’elettornico/digitale (drum machine, sintetizzatore, sequencers) e crea un connubbio che arriva all’obiettivo di farti alzare di scatto e muovere i piedi. E il cuore con loro.
Le tre tracce d’apertura formano forse la migliore oeverture dell’anno.
“Restless” è il primo singolo estratto, che nonostante il ritornello ammiccante che entra subito in testa, non costituisce l’anima del disco, rimanendo un amabile radio edit. è proseguendo con “Singularity” che iniziamo a capire da che amalgama il disco sia costituito. Qui la linea di basso è prepotente sin dall’inizio e il gran lavoro fatto da Chapman si inizia subito a sentire. Così come il lavoro alla produzione fatto da Tom Rowlands (Chemical Brothers), uno dei molti amici/amanti/etc. che hanno preso parte al disco. Sono molte le collaborazioni da registrare, come se Bernie Samner avesse voluto colmare il vuoto oltre che strumentale, anche a livello di supporto artistico e personale.
Possiamo considerare “Plastic” la traccia cardine: il ritmo adrenalinico, il massiccio uso del sintetizzatore che fa il verso neanche troppo sommessamente al moog di Moroder, la freschezza portata dalla voce di Elly Jackson (La Roux), una delle migliori interpreti della scena synthpop attuale, il testo che parla di rapporto d’amore definendolo come di plastica, artificiale, come il titolo ci suggerisce, che unito a quello di “Restless”, danno una prima idea di cosa i New Order ci vogliano comunicare. Non hanno mai nascosto il loro amore/odio per i social network che affollano la rete e svuotano le piazze e i centri urbani che prima erano il fulcro vitale della società . Uniscono per dividere, lasciando un senso di svuotamento per una complicità solo apparente. Avidità e consumismo massiccio sono i temi portanti dell’opening track, che sottolineano l’individualismo della società moderna che ci promette un futuro, che quando arriva però è molto diverso da come ce lo aspettavamo.
Dopo “Plastic”, Elly Jackson prosegue la sua collaborazione in quello che rappresenta un album nell’album, andando a formare un tris che si rivela essere la parte più riuscita del lavoro: “Tutti Frutti” è un omaggio all’italodisco di fine anni ’70, il groove ti entra dentro e non va via. “People On The High Line” invece è caratterizzata da una base di chitarra funky e l’istrionica Elly qui si scatena, anche perchè sembra giocare in casa andando in una direzione che è quella percorsa nel suo ultimo LP “Trouble in Paradise”. Questa parte del disco sembra fatta per essere suonata live.
Un’altra milestone è “Stray Dog”, collaborazione nata un po’ per caso dallo scambio epistolare tra Sumner e Iggy Pop (il caso volle anche che il giorno in cui Ian Curtis fu trovato morto nel suo appartamento, sul giradischi stesse girando “The Idiot” dello stesso Iggy): qui Iggy fa il Leonard Cohen e il cantato si fa racconto, sul testo/poesia scritto da Sumner. La linea di chitarra elettrica e il sintetizzatore la rendono un traccia mistica e cupa allo stesso tempo. Curiosità : ad inizio pezzo si sente un ululato in sottofondo che sembra essere lo stesso campionamento di Kavinsky nella sua “Nightcall”.
Ultima collaborazione nella traccia di chiusura “Superheated”, cantata da Brandon Flowers, frontman dei The Killers, che devono il loro nome proprio ad una band fittizia che appare in un video dei New Order.
La realizzazione della copertina è affidata allo storico Peter Saville, che ha accompagnato tutte le copertine della band e della Factory Records in generale.
“Music Complete” è un album che di pretenzioso non ha solo il titolo, ma anche la volontà della band riformata di viaggiare su un limbo artistico: mettere la parola fine ad un’epoca, rievocandone ed elogiandone i tratti che hanno caratterizzato le fortune del gruppo e ispirato le carriere di molti altri, ma anche un punto interrogativo su un futuro che ancora non è scritto e chissà se lo sarà . Intanto hanno fatto l’album che non ti aspetti. Di nuovo. E li ringraziamo.
Photo Credit: Warren Jackson