#10) PANDA BEAR
Panda Bear Meets the Grim Reaper
[Domino]
Quando ogni forma di psichedelia sembra persa nel più banale retromitismo di genere, ecco, all’improvviso che Noah Lennox pensa a rimettere le cose in chiaro. Il Panda, al suo quinto album solista, dimostra di essere ormai un maestro del genere plasmato insieme al suo Collettivo prima e da solista ora perfezionato. è sempre fonte di ispirazione. Lo risento ogni volta che mi sembra di aver capito come si affronta la vita, per minare le mie convinzioni alla base.
#9) COLAPESCE
Egomostro
[42 Records]
Colapesce localizza l’egomostro che ognuno di noi si costruisce nel proprio io e cerca più che di abbatterlo, di osservarlo con attenzione per capirne l’origine, la natura. Il sound si fa più elettronico rispetto al precedente “Un Meraviglioso Declino”, ispirato ai Talking Heads e al cantautorato italiano datato anni ’80, da Battiato a Battisti. Con un leggero malessere riconquistiamo la bellezza. Amen.
#8) KENDRICK LAMAR
To Pimp A Butterfly
[Aftermath/Interscope]
Perchè un rapper all’apice dell’apprezzamento di critica e pubblico dovrebbe pubblicare un album jazz a sfondo politico? La risposta la si ha al prima ascolto di “To Pimp A Butterfly”. L’album è isterico e Lamar un fiume in piena. Finisce per sfiorare e inglobare quasi tutte le influenze della black music. Fondamentale.
#7) BLUR
The Magic Whip
[Parlophone]
Seriamente c’è da giustificare la presenza di un album di Damon&Co.? Coesione e sintesi perfetta della spiccata vena cantutorale di Albarn di “Everyday Robots”, suo primo album solista, e ai riff del ritrovato fratello d’arte Graham Coxon. Il tutto condito da quella percezione scanzonata della realtà che aveva caratterizzato la band ad inizio carriera (“Modern Life Is Rubbish”).
#6) DEAD WEATHER
Dodge And Burn
[Third Man]
In circa 40 minuti di album troviamo rock, post-punk e una spruzzata di blues per condire il tutto. Jack “‘Re Mida’ White ad orchestrare una superband formata da Alison Mosshart (The Kills), Dean Fertita (QOTSA) e Jack Lawrence (The Racounters). La summa maxima la possiamo ascoltare in “Three Dollar Hat”, che a mio parere rappresenta la traccia fondamentale del disco. Suona dannamente bene ascoltato in Metro A direzione Anagnina.
#5) CALCUTTA
Mainstream
[Bomba Dischi]
Perchè “Mainstream”? Semplicemente perchè dal primo ascolto ogni traccia mi è rimasta appiccicata in testa come solo una Big Babol ad agosto sotto una Vans. I testi di Calcutta sono sporchi, spesso di sangue, perchè nei testi si finisce per fare a botte con facilità . Sicuramente porta una ventata di diversità nel panorama indie italiano. “Mainstream” perchè è un album ingenuo ma allo stesso tempo maturo, dove è possibile perdersi nei continui spostamenti tra una città e un paesino in provincia, dalla spiaggia ad una baita in montagna, perdendosi nella semplice complessità di un’emozione.
#4) EL VY
Return To The Moon
[4AD]
Il duo formato da “Matt Berninger” dei National e Brent Knopf dei “Menomena” riesce a mettere un punto sull’ormai da tempo chiacchierato side project dei due artisti. Entrambi con una vogli tangibile di discostarsi da quella che era la loto abituale sfera stilistica nei rispettivi gruppi. Ma se Berninger poco si discosta dal suo stile cupo e un po’ sorpreso di cantare, è Knopf a portare su un altro parametro di lettura l’album.
Il risultato è un disco pop, di facile ascolto. E non è affatto una nota di demerito, anzi.
#3) FATHER JOHN MISTY
I Love You, Honeybear
[Sub Pop]
“I Love You, Honeybear” è un disco che ha l’amore al centro, come il titolo può facilmente suggerire. Ma la parte magica dell’album sta proprio nell’approccio che FJM ha nei confronti delle parti più fastidiose di un rapporto, i fraintendimenti, la gelosia, le ansie che circondano qualsiasi storia d’amore. Quindi caratterizzato da una narrativa estremamente complicata ma accopagnato dalla solita eleganza di Padre John dal Maryland. Il sound è così piacevole che la complessità dei testi non è di sicuro percepita. Josh Tillman ha la capacità di passare da sentimenti bassi ai più aulici mantenendo sempre una chiave romantica che fa da collante tra una traccia e l’altra.
Mascara, blood, ash, and cum / On the Rorschach sheets where we make love. Magico.
#2) NEW ORDER
Music complete
[Mute/Self]
Like the legend of the phoenix, all ends with beginnins: Come canta Pharrell nella hit dei Daft Punk, anche i New Order, considerati ormai sepolti dopo l’uscita dal gruppo del membro fondatore Peter Hook, riemergono dalle ceneri. E tornano in grande stile. La connessione con il il duo francese sta anche nella ricerca funky e disco anni ’70-’80 che caratterizza “Music Complete”. Ne viene fuori un album completo arricchito da collaborazioni di lusso che, come difficilmente accade, non appaiono fuori luogo o scelte per volere di etichetta, ma per vere affinità artistiche. Sperando di riuscirli a sentire quanto prima dal vivo, consumo il loro LP sul giradischi.
#1) SUFJAN STEVENS
Carrie & Lowell
[Asthmatic Kitty]
Dell’album di Sufjan Stevens mi sono innamorato dalla prima traccia, del primo ascolto. Il disco è dedicato alla madre da poco scomparsa (Carrie). Ogni singolo brano è cantato in prima persona e strettamente personale per la raccolta di memorie contenuta nei testi. Sufjan non sembra aver perso solo qualcuno, ma qualcosa. La confusione dei ricordi si mescola all’attuale confusione religiosa e all’ansia della sua condizione di vivere in realtà senza una madre da molto prima della sua morte. Visto che la stessa lo aveva abbandonato insieme al resto della famiglia quando era molto piccolo. I sentimenti descritti sono quindi quelli di uno stereotipo materno misto a ricordi che si tramutano all’improvviso in sogni. Come quando in “Fourth of July”, la canzone più intensa dell’album, lui si immagina di avere una conversazione con la madre dall’aldilà , che sembra scusarsi per come siano andate le cose e consolarlo lei stessa per la sua morte, chiedendogli di non piangere. Lo stile del cantatato è sospirato ed accompagnato da chitarra acustica, banjo e piano.