è sintomatico quanto certe ambientazioni placide e di gioiosa comunanza, come il natale, possano invece ingenerare delle sensazioni che divergono completamente da esse; ponendosi quasi come un monito della impossibilità  che vi sia la calma senza la paura, la felicità  senza la tristezza o la vita senza la morte.
Quando è “quel” momento dell’anno, ci troviamo come risucchiati sotto delle campane di vetro addobbate a festa; e ci lasciamo vibrare al ticchettio ovattato degli orologi che scandiscono le lunghe ore della vigilia, ultima frontiera prima del grande evento. Finendo poi per immaginare che quest’ultimo sia una zona franca dove poter imbavagliare, con risultati alterni (ahinoi), le nostre cattive intenzioni nei confronti del prossimo.

Proprio su questo solco si inserisce il film di Bob Clark del 1974, dove in una cittadina canadese, un gruppo di studentesse di una confraternita viene terrorizzato da un maniaco che gli telefona, nascosto nella loro soffitta, manifestandogli con un sensazionale grammelot schizofrenico l’intento di ucciderle una ad una.
Dopo la scomparsa della prima coinquilina, comincerà  a farsi strada tra le altre ragazze, l’idea che la vicenda sia in qualche modo collegata con le telefonate fino poi a degenerare in un vortice di terrore; acquisita la consapevolezza che il killer è solo a pochi metri sopra le loro teste.
Cinque anni prima di Halloween- La notte delle streghe di Carpenter, ma non con le medesime fortune, questo film definisce i canoni di un “nuovo” genere horror che si fece strada in America sotto il nome (forse riduttivo) di “Slasher”.

Le abbacinanti inquadrature in soggettiva che fanno da proiettore alla devianza del killer, il tagliente affresco della provincia bigotta dei primi anni settanta e una colonna sonora fautrice più che degna della suspense del film (notevole è in tal senso il lavoro del compositore Mike Oldfield); fanno di questo film non solo un cult dell’horror ma un’opera imprescindibile per qualsiasi amante del cinema.

Wide Screen: come in pittura si definiscono colori primari quelli che non si possono ottenere dalla commistione di altri colori, ma dalla cui combinazionesi può ricavare ogni altro colore; in questa rubrica parleremo di film unici e fondamentali, che costituiscono la matrice perduta della settima arte.