Una settimana fa ho ascoltato per la prima volta “Painting With” degli Animal Collective e mi è tornata in mente una storia della mia infanzia: avevo più o meno otto anni e mi vantavo con i miei amichetti di saper suonare il piano (chissà perchè poi). Questa classica sparata bambinesca andava ad ingrossarsi giorno dopo giorno finchè i miei amici, impazienti di sentire il mio acerbissimo estro, mi misero davanti ad una pianola.
Io non sapevo neanche fare quelle due cosine base tipo Per Elisa, quindi spaesato e quasi smascherato decisi di percorrere l’unica possibilità che non mi era preclusa: spingere i tasti a caso.
Ed andai avanti per svariati minuti, pigiando note senza alcuna consapevolezza di quello che stessi facendo e giustificando a parole quella che dovevo vendere come melodia.
I miei amici mi credettero, o almeno quello mi diedero a vedere. Io rimasi soddisfatto e con il tempo trovammo una nuova sparata per sostituire quella di me pianista.
Ora, perchè ascoltando l’ultimo album di Noah Lennox e amici mi è tornata in mente questa storia?
Semplice ed anche abbastanza banale. La musica del collettivo di Baltimora è un coacervo di pura vitalità . Una gavettone di vernice colorata che ti esplode addosso mentre lo tieni in mano.
Come appunto, l’approccio dei bambini alla musica, che è vitale, sfrontato e disordinato.
C’è un filo conduttore bene marcato tra l’infanzia e gli Animal Collective ed è per questo che seppur presentino un sound fortemente sintetico (soprattutto in questo ultimo album), nell’ascolto si delineano sempre orizzonti primitivi e fierali.
Perchè riproducono la nostra disinibita e sbiadita curiosità per il mondo. Quella del nostro fanciullesco e remoto passato.
Ovviamente, la vitalità di cui scrivo non è solo questione di attitudine e di intenti ma è più che altro un modo di intendere e produrre la musica.
Che oggi come ieri è esplosiva e coinvolgente. Ma che , a differenza del predecessore “Centipede Hz”, riesce a trovare un ordine lì dove un tempo vi era una caotica ed iperattiva psichedelia.
E’ sufficiente prendere in considerazione i primi brani degli ultimi due album per notare la sostanziale differenza ed il lavoro di sintesi e di pulizia svolto dagli Animal Collective in questo “Painting With”: Moonjock era una cavalcata fondata su cambi di ritmi e giravolte e si contraddiceva in continuazione dipingendo uno strano connubio di disagio e gioia. (ok, questa ultima frase sembra uscita da una brutta canzone dei Subsonica.)
Floridada è ugualmente splendente e pulsante, un’ altra corsa a perdifiato. La differenza sta nel sentiero lastricato su cui si appoggiano i piedi, nella melodia, che questa volta pur rimanendo inebriante ed accecante non è più dissestata ma profondamente levigata.
In altre parole la canzone assume una forma più facilmente assimilabile, meno spigolosa mantenendo però la propria autenticità .
Questo cambio di registro si avverte ancora di più confrontando le seconde tracce dei due LP.
Qui veramente si parlano due lingue diverse ed i rimi frenetici e gitani di “Today’s Supernatural” vengono formattati e riproposti sotto forma di una cassa dritta che batte precisa in quattro quarti ed una manciata di voci che si sovrappongono tra di loro.
E forse è questo il motivo per cui si chiama “Hocus Pocus”: una trasformazione del genere può essere frutto solo di stregoneria.
Proseguendo il cammino ed analizzando i brani successivi (cioè Vertical e Lying on Grass) appare chiaro che questo lavoro di sintesi e di ordine compiuto dagli Animal Collective sia soprattutto un’attività volta alla sottrazione: i brani sono più asciutti e si appoggiano a strutture meno piene.
Soprattutto, scompare quasi del tutto l’apporto strumentale, sostituito dall’elettronica.
Il risultato è quello di un percorso più lineare e più digeribile, in cui ogni traccia è sostenuta da un’onnipresente incidenza del basso e dalle voci che si stratificano.
Potremmo dire quindi che questo “Painting With” raccoglie i semi piantati dall’electro-pop di “Merriweather Post Pavilion” piuttosto che dal suo predecessore e sicuramente sarebbe un’affermazione giustissima.
Ma, a bene vedere, la più grossa influenza di questo sgargiante Lp arriva da altrove, ma non dà più lontano: parlo ovviamente di “Panda Bear Meets the Grim Reaper”, album dello scorso anno in cui Noah Lennox anticipa la vocazione elettrica e corale di questo nuovo corso del suo collettivo.
Traccia dopo traccia si provano anche a scombinare le carte in tavola ed ad aggiungere nuovi elementi ed a variare il ritmo che sala e scende tra atmosfere a volte sostenute, altre distese ma mai frenetiche.
Pure un brano splendido e cadenzato come “On Delay” infatti pare non scomporsi troppo nel suo incidere e il synth che è qua è profondo sirena di una petroliera delimita i confini di uno spazio in cui i colori ed i suoni sono coesi, vivi ma ben distinti e tutto sta bene al suo posto.
Tipo, salta pure ma sta attento ad avere le scarpe allacciate o l’ingresso in corsa della mamma durante il nascondino e togliti il maglione che sei tutto sudato.
C’è da dire anche un’altra cosa molto importante. Cioè, che questo album è coeso come pochi: l’ossatura elettronica di tutti i brani traghetta l’ascoltatore tra i vari brani non facendo bene percepire gli stacchi. Le prime volte che ascoltavo “Painting With” infatti, ho fatto sinceramente fatica a distinguere una traccia dall’altra. Premevo play e scorreva tutto, piacevole ed indistinto.
Cosa che non accade spesso, essendo ogni album in genere studiato per avere alti e bassi. Del resto viviamo sempre più nell’epoca del singolone da mandare in radio e questo modo di concepire la musica ovviamente va anche a discapito dell’organicità di un LP che non sia un Greatest Hits.
Pure qui ci sono i singoloni ovviamente (come la già citata “Floridada”) ma sono inseriti in una storia coerente in cui i picchi non svettano sul piattume generale ed in cui gli squilibri tra un brano e l’altro sono levigati a favore di un ascolto completo.
Arrivati in fondo si avvertirà distintamente quella specie di solennità da chiusura di “Recycling” ma si continuerà a parlare la stessa lingua. Cioè quella dell’electro-pop.
Tiriamo le somme e fughiamo ogni dubbio: questo è un album bello.
Di una bellezza sincera, vivace e rumorosa. Come quando si sta bene tra amici e si dicono ad alta voce cose che si dovrebbero solo pensare.
Gli Animal Collective hanno questo pregio unico: prendono il mezzo meno sincero del mondo della musica, cioè quello elettronico per svuotarlo e renderlo innocuo come un cucciolo.
La musica elettronica è una musica figa, fatta da fighi per persone che si vogliono fingere fighe.
Insomma, è il più grande e bel artificio moderno del predatore. Elegante a volte, assordante più spesso, ma sempre calamitante.
Panda Bear, Avey Tare e soci hanno creato da tempo una nuova creatura lisergica e sintetica, che non è aggraziata come il felino ma pacifica con il panda, che non attrae ma abbraccia.
Ed è tutto molto bello, perchè sarà meno figo ma sarà più vero.
Insomma, questo “Painting With” pure con tutte le sue ordinate peculiarità rimane prima di tutto un classico LP degli Animal Collective: uno di quelli che metteremo su a meno aperitivi ma che ascolteremo di più in cuffia.
Photo: Tom Andrew