I “flash mentali” che il cantautore irlandese Marc Carrol aveva avuto durante i suoi soggiorni negli States e poi di seguito immortalati nel bel disco “Stone Beads and Silver” del 2013, paiono svanire leggermente, come pure (anche se qualcosa rimane) quell’assonanza Dylaniana che troppo calcava l’artista, ora si cambia strada e si riscoprono le proprie roots, le armonie pop-folk di casa e, con una manciata di pensieri sul sociale e ripetute letture dei poemi di Penny Rimbaud dei Crass, poi le confezione in ballate splendide, crude e sognanti, con un giusto equilibrio tra Irlanda e America.
“Love is all or love is not at all” è il disco dell’inversione, dieci tracciati in cui Carrol devia dalle correnti edulcorate per “guardare profondamente” il dintorno della vita, del mondo No hallelujah here (dedicata alle stragi di Gaza) o la titletrak che declama la povertà degli ultimi; con riverberi di Roger Mc Guinn “A child in mid stream”, e un Tom Petty di sfuggita “Ball and chain”, il disco scorre piacevolmente, mentre la partecipazione di Jody Stephens (Big Star), Pete Thomas (Attractions) e la tromba di Noel Langley (Bill Fay) insieme alle tastiere di Bo Koster (My Morning Jackets) non fa altro che riempire di “classe sopraffina” il lotto e far sognare di brutto orecchi e animi.
Punti di eccellenza le spennate hurryes Lost and lonely, la tensione elettrica “Brightest of blue” e la pensierosa quanto bella “Catalina in the distance”, punti di armonia tutte le altre.