Quest’anno il capolavoro “Screamadelica” compie un quarto di secolo.
Ho imparato ad adorarlo molto tardi (circa tre anni fa) ma molto profondamente.
L’ho amato e lo amo in tutto, dalla copertina con quelle pennellate piene e vivaci, fino al connubio perfetto,ed allo stesso tempo improbabile, tra un rock quasi accademico ed il mondo acido della discoteca.
Ora, la bella notizia è che i Primal Scream esistono ancora oggi, dopo venticinque anni e continuano a produrre musica.
La brutta notizia invece è che “Chaosmosis” è un album assolutamente trascurabile.
Non è poi tutta questa novità , in realtà .
La produzione di Bobby Gillespie è sempre stata un continuo saliscendi tra il mediocre ed il memorabile.
In altre parole, c’è un motivo ben preciso se ho aperto l’articolo così e non con un “quest’anno compie dieci anni Riot City Blues”.
L’ultima volta, con “More Light”, si erano toccate vette molto alte.
Ci si era spellati il viso ed era tutta una risata tra labbra screpolate e maglie termiche.
“Chaosmosis” è la discesa, il ritorno a valle, per prendere il treno in una stazione abbastanza pulita, ma fondamentalmente identica a tutte le altre.
Entrando nel merito della musica: parliamo di un LP con dieci tracce fondamentalmente innocue, di synth-pop, orecchiabili ma senza mordente.
Non è un ascolto che pesa, perchè fondamentalmente i suoni sono ben bilanciati ed il piglio disco presente in tutti i brani conferisce omogeneità ai suoni regalandoci trentacinque minuti di sinuosi colpi d’anca.
Il grosso (grossissimo) problema è la totale mancanza di momenti “alti”, di sterzate, impennate.
Fila tutto tranquillo fino alla fine, senza sussulti ed occhi che si sgranano.
L’unico sentimento che l’album è riuscito a regalarmi è stata l’irritazione nel sentire l’intro goffo e glitterato di Carnival of Fools che fa un po’ Gigi Dag ed un po’ bludabudabudabudì.
Fa anche un po’ incazzare. Non troppo, quel tanto che basta a porsi il primo di tanti “perchè?”
Non serve alcuna arte od attenzione particolare per dedurre quale è la problematica di questo LP, quale è il motivo che rende l’ascolto così indolore e superficiale.
Molto intuitivamente, è la mancanza dell’elemento rock: “Chaosmosis” è un album pop, elettronico, sintetico. Non esistono, o sono molto marginali, le chitarre.
La struttura dei brani è lineare, molto catchy e diretta, senza troppe capriole.
Manca l’eclettismo, il gusto per il contrasto, l’estrema capacità d’abbinamento dei Primal Scream.
Rispolverate “More Lights” e fermatevi al primo brano 2013.
Provate a cogliere le influenze, gli strumenti: non è difficile, praticamente si gettano addosso, esplodono nelle orecchie, come in una Torre di Babele capovolta in cui tutti parlano in lingue differenti ma si capiscono, dialogano.
Prendiamo ora come canzone-manifesto quella che dovrebbe essere la punta di diamante dell’album, cioè “Where the Lights Gets In”: un singolo pop, tutto tastierine, con Bobby a duettare con la super pop Sky Ferreira che ricostruisce un atmosfera da dance-floor e da sculettamenti con i pantaloni aderenti. Niente di più, solo un innocua canzone orecchiabile, come ce ne sono a milioni. Troppo poco.
Già meglio il secondo singolo “I Can Change”, che pur mantenendo la stessa struttura à¼ber-pop, appare più genuino e meno paraculo. Un’elegante ballata su base di synth che scorre bene, intrigando, per i suoi tre minuti scarsi.
Lascia bene, è piacevole ma non colpisce, non ferisce. Come i mille compagni di viaggio di Blablacar che alla fine te li ricordi tutti più o meno con la stessa faccia. Difetta di quella incisività che ti si cala dentro la testa, giù per la fontanella, e comincia a rimbalzare da una tempia all’altra, per i giorni a venire.
Che poi, a pensarci bene, l’apertura dell’album è abbastanza ingannevole.
“Trippin’ on Your Love” porta con se quella coralità vocale ed umorale, tipica dei Primal Scream, quei cori che sono a metà tra le celebrazioni che vedi nelle pellicole d’oltreoceano e “dottoree, dottoree…” che senti in Facoltà .
Quelle percussioni che invece sono miscuglio tra i suoni dell’Africa e quei fricchettoni con i bonghi che mica li capivi quando da piccolo andavi al parco a dare calci al pallone nell giorno della festa della liberazione.
Insomma, l’inizio è certamente pop ed elettronico ma anche familiare (ci sono anche le chitarre!), un buon compromesso credo tra quello che avevano in mente e quello che poi alla fine, nei fatti, ci hanno lasciato. Una nuova “Movin’ on Up”, molto sbilanciata verso la pista da ballo. Meno ecumenica ma decisamente accettabile. Un brano che, ugualmente al resto del lotto, non sopravviverà a lungo ma che, perlomeno, sembra appartenerli.
Il resto è un’ammucchiata di canzoni che, come ho già ripetuto più e più volte, presentano lo stesso tema senza variare più di tanto. Assolutamente non spiacevole, ma neppure lodevole.
Solo una persona faziosa potrebbe dire che la conclusiva Autumn in Paradise è brutta, o che non è funzionale al suo ruolo (gli “aaaah aaaah” femminili in sottofondo sono proprio una chiusura da manuale). Sfido però al contrario anche il loro fan più fedele (come me, eh) a dire che è una canzone veramente bella, che emoziona.
E cosa vale una canzone che non emoziona?
Un ascolto, niente di più.
Va accennato che anche le volte in cui si prova a cambiare struttura il risultato non è migliore, anzi tutto il contrario.
L’acustica Private Wars, che con i suoi archi fa da spartiacque all’album è proprio noiosa, seppure molto breve.
“When the Blackout Meets the Fallout” riprende invece i ritmi voraci e galoppanti di “XTRMNTR” ma ci lascia troppo presto, con un indefinito e superficiale senso di nostalgia.
“100% or Nothing”.
E’ il nome di una canzone dell’album ma è anche quello che un po’ penso io, detto in maniera schietta, lapidaria.
Quando ascolto i Primal Scream mi aspetto sempre il massimo, la completezza. Mi aspetto gli orizzonti aperti ed il sole alto, gli opposti che non si attraggono per nulla ma che imparano a convivere per riempire spazi vuoti, insieme. Mi aspetto il sento di liberazione e di leggerezza che provo quando prendo la mia bici e vado al mare o quando guardo le Alpi dall’alto in basso. Tutto questo non a caso: mi ascolto sempre Loaded mentre vado al mare e Come Together quando sono su un aereo proprio per la libertà ed il senso di democristianissimo ma autentico volemose bene che trasmettono.
Il rovescio della medaglia di queste mie aspettative sono questi trentacinque minuti di nulla, in cui tante cose accadono ma alla fine non ce ne rimane in mente neanche una.
Non è un passo falso, non ci siamo proprio mossi.
E non è un male, perchè rimane quello che sta in cima, il 100%, tante ore di musica per cui sarò sempre grato ai Primal Scream.
Spero solo che non se la prenderanno se parlerò, quando verrà , del 2041 come l’anno in cui “Screamadelica” compie cinquanta anni e non come quello in cui “Chaosmosis” ne compie venticinque.