Partendo dal presupposto che si parla di una rielaborazione della colonna sonora di un documentario che parla dell’energia nucleare e delle varie scoperte e deviazioni legate all’atomo nell’ultimo secolo, cioè, “Atomic: Living in Dread and Promise” di Mark Cousins, si può aprire una finestra potenzialmente sterminata di parallelismi e metafore che collegano i Mogwai alla fonte d’energia più controversa delle ultime decadi.
L’etimologia della parola “atomo” è molto interessante perchè parte da un presupposto che si rivela poi errato.
Di più, è da quel errore che nasce oggi la fortuna e la potenza irresistibile del nucleo.
Atomo, deriva dal greco, ed è una parola che al termine “tomòs”, traducibile come sezione o taglio, aggiunge la alfa privativa.
In sostanza, vuol dire indivisibile.
Ora, non sono uno scienziato o ingegnere, ma sono che la fissione nucleare si basa praticamente sulla rottura dei nuclei atomici.
Tutto ciò che riguarda gli atomi si basa su un paradosso, su un nome che non riflette l’identità della cosa.
Come la sostanza, la musica dei Mogwai, si basa su un simile fraintendimento.
Propone qualcosa che all’apparenza si presenta come indivisibile ma che in realtà si spezzetta ed esplode.
Il gruppo scozzese è il sottofondo, indefinito ed, apparentemente, senza fine che si snoda in cuffia mentre siamo indaffarati in altri affari.
Proprio per questo motivo, la musica diventa atomo: perchè si sviluppa come se fosse una lungo brano delle durata di quarantacinque minuti.
Poi, io per vocazione e passatempo gli analizzo gli album.
Quindi mica posso fermarmi a questa prima impressione.
Devo scomporre e scovare le differenze. E far esplodere l’atomo.
Si parte con “Ether”, un brano che si basa tutto su in giro di fiati fortemente evocativo, primordiale e gelido.
Il gioco degli accostamenti qua viene facile e subito saltano in mente i migliori Sigur Ròs e la loro capacita di creare la rugiada attraverso i suoni degli ottoni.
La musica crea uno spazio immacolato ed incontaminato in cui muschi e rampicanti ovattano i suoni.
“Atomic” si apre quindi con un contrasto, con un brano che invece di evocare il pallone incandescente in copertina, dialoga con quella parte di noi stessi che, ogni tanto, cerca il proprio equilibrio in una chiazza di verde che illumina il grigio tutto intorno.
Sulle stesse frequenze “Tzar” che sembra una vera e propria versione strumentale di “Glòsòli” dei Sigur Ròs.
Il nocciolo dell’album, ed in questo caso penso che parlare di “nocciolo” sia terminologicamente corretto, è formato da una manciata di brani che al contrario tracciano nettamente i confini dell’immagine tossica, instabile e incontrastabile di un atomo che esplode.
“SCRAM”, per dirne una, poggia su un loop di cinque minuti su cui si installano suoni e melodie ed artificiali.
Un brano ripetitivo come una catena di montaggio di stampo fordiano, in cui tanti piccoli movimenti meccanici vanno ad incastrarsi tra loro, formando così qualcosa di più grande.
L’idea pressapoco è questa.
Cioè, un brano che ti viene montato sotto gli occhi, bullone dopo bullone.
“Bitterness Centrifugue”, con un intro pomposo e marziale che fa molto “Genesis” dei Justice, riprende invece il disagio che ci viene provocato da un’energia tanto forte e strabordante.
L’incidere inquieto e pieno ricrea l’impotenza e lo sconforto scaturenti dall’avere a che fare con qualcosa così tanto più grande di noi.
La chitarra che si aggiunge poi nella seconda parte, con un suono a metà tra il post-rock e l’industriale, sono pioggia acida che va ad amplificare il clima destabilizzante e traballante.
Un bel video con questa sotto invece degli endorsement di Ficarra e Picone e vedi come lo raggiungevi il quorum per il referendum.
Il vero capolavoro dell’album però è “U-235”.
Come l’Uranio-235, elemento che da il titolo al brano, è per le proprie caratteristiche elemento fondamentale per la fissione nucleare (grazie Google e Wikipedia), il brano dei Mogwai sopracitato è essenziale per “Atomic” stesso.
Perchè con la sua elettronica quasi minimale, va a descrivere l’energia nucleare nella maniera più neutra ed oggettiva possibile.
E’ un brano che incarna l’essenza della fissione stessa, cioè di una cosa minuscola che provoca una grande esplosione.
Così, il minimalismo e la pulizia del brano riescono a creare una atmosfera che, per quanto lieve riesce a detonare.
Essendo il primo singolo ad essere lanciato, in concomitanza con l’annuncio dell’album, aveva generato in me tutt’altre aspettative per il resto dei brani.
Poi, oggettivamente, per quanto sia inferiore a ciò che mi aspettassi è tutto molto piacevole.
Sia le tracce che ho citato sia, per dirne un paio, i ritmi magrebini di “Pripyat” o gli archi languidi “Are You a Dancer?”
E, come ho cercato di delineare in questa recensione, è un LP fortemente evocativo, quindi perfetto come OST di un documentario.
Ha l’unico difetto di non essere d’impatto ed incisivo come i due capolavori precedenti cioè “RAVE TAPES” e la soundtrack della serie francese “The Revenants”.
Non so se questo album resisterà al tempo, francamente ne dubito anche solo per la concorrenza nella stessa libreria dei Mogwai.
Resta comunque un album perfetto per i temi che va a trattare e che compaiono ciclicamente nelle bocche di tutti.
Io non so se il nucleare sia un miracolo energetico o un ordigno instabile e tossico, quello lo lascio dire agli esperti.
So dire però con certezza che se su Sky-Tg24 volessero fare un servizio sull’energia atomica avrebbero un intero album che calzerebbe a pennello come sottofondo per le immagini.
Photo: Photo Steve Gullick