Mi catapulterei volentieri in quel 1999, Mtv stabilmente acceso, due minuti di studio, infiniti invece quelli impiegati a guardare video, classifiche, singoli. Ricordo benissimo la prima volta che ascoltai “Why it does rain on me”. Fui subito trafitto da quell’intro di violino tagliente e poi subito le chitarre brit e la malinconia nella voce di Fran Healy. Fu amore subito. E’ stato il miglior tempo perso in assoluto. Ne hanno risentito i voti e le pagelle ma ha vinto la voglia di conoscere grandi canzoni brit-pop. Nel finire del millennio la bomba Oasis era ormai deflagrata e con i Blur in Islanda all’orizzonte potevi scorgere una nuova ondata brit-pop quella che io definisco la 3.0, quella che ai Travis non piace se ne parli. Tra i primi Radiohead, Coldplay, Belle & Sebastian, Starsailor, c’erano questi quattro semplici ragazzi scozzesi di Glasgow che dopo un ottimo esordio con “Good Feeling”, sfornarono due anni dopo nel 1999 con Nigel Godrich alle macchine, una perla che ha segnato la mia chiusura di millennio. Il suo nome era “The Man Who”.
“The Man Who” fu il disco punto d’arrivo dei Travis. Dopo hanno sfruttato la lunghezza d’onda e con “The Invisible Band” sono diventati super popular. Ma tutti i dischi successivi messi a paragone non hanno mai retto il confronto. Ma in amore anche i difetti diventano pregi e nel momento in cui realizzi che di una band ormai conosci e apprezzi il sound, lo stile, alcuni passaggi ritmici, la voce del frontman vuol dire che non puoi mai tirare in ballo gli errori, i lisci, le steccate. Per questo ritengo “Everything at Once” un buonissimo disco. Un disco essenziale, immediato, diretto così come l’ha presentato Fran Healy, nelle anteprime. Cinque pezzi davvero molto belli come “What will” i singoli “Magnificent Time”, la rock “Radio Song” la struggente e intensissima “Idlewild in duetto con Josephine Onyama e la bellissima “Three Miles High” degna del miglior Fran Healy ora con un look curiosissimo da asceta o come qualcuno mi ha suggerito, da Santone. Qualche episodio non dei migliori come “Animals” e “Paralysed” dotati però di testi molto interessanti, non offuscano l’ascolto dal considerare le dieci tracce di “Everything At Once” un corpus davvero piacevole e godibile. Le melodie non hanno più la forma dei tempi migliori, il cantato malinconico è più misurato e non vi è più quella melodia che colpiva i nostri animi ventenni e tormentati. Il Brit-pop non è più quello di una volta, i Travis nemmeno ma tra il perdersi nel tempo che passa e l’accogliere l’arrivo di nuovi lavori discografici e nuove canzoni, meglio sempre la seconda strada. Il miglior struggimento che posso consigliarvi oltre a quello che vi suggerisce la solida e sana band nel video simpaticissimo di “Three Miles High”.
Un bel disco, nuova personale etichetta, registrato a Dublino e alle spalle 8 dischi e 25 anni di carriera. Bravi Ragazzi! Continuate così