Vicino a casa c’è un posto in cui fanno sempre musica. Non il lunedì e il martedì, che sono i giorni di chiusura. Per entrare bisogna scendere una decina di gradini e sembra di intrufolarsi in una tana. è un’impressione che mi piace molto, soprattutto d’inverno. A inizio gennaio del 2013, mi capitò di sentire qui un cantautore svedese, coi capelli abbastanza lunghi e con un enorme cappello da cowboy. Era, mi pare, solo sul piccolo palco incassato in fondo al locale. Restò fermo più o meno nello stesso punto per le due ore di concerto, battendo un piede a terra e ondeggiando a tempo. La voce, la chitarra, i movimenti. Tutto ripetuto, scandito, secondo dopo secondo. Credo di aver pensato che la qualità generale fosse buona. Non riuscii però a togliermi dalla mente la sensazione di avere davanti agli occhi un vetro che, per quanto pulitissimo, rendeva impossibile non percepire l’insieme come distante, quasi asettico.
Ascoltare “I Never Arrived” di Galapaghost mi ha ricordato il concerto di quella sera. è il terzo album per Casey Chandler, scritto e (auto)prodotto tra Belgio e Italia, con la collaborazione di Federico Puttilli dei Nadar Solo. Alla fine dell’ascolto, si arriva alla conclusione, maturata brano dopo brano, che qualcosa non va. L’immagine della (molto bella) copertina dell’album potrebbe rendere in modo efficace quanto accade all’interno: un aquilone (una sonorità ) che prova a prendere il volo, a lasciarsi trascinare dal vento (da una maggiore emozionalità ), ma rimane se non proprio ancorato, quanto meno incagliato. Si sente che c’è un lavoro di studio e ricerca a percorrere tutto l’album, che risulta in qualità del suono, giochi interessanti di strumentazione, buona varietà ritmica e melodica (anche se l’atmosfera melanconica è la prevalente). Su questa base, testi e voce riescono a costruire situazioni descrittive brevi ma a effetto (su tutte, “Salt Like City”). Questa dimensione “premeditata” sembra, però, spesso prendere il sopravvento, inficiando espressività ed emotività . Si è scritto, e Chandler stesso ha confermato, che l’album è frutto di un periodo non propriamente d’oro per il cantautore, segnato da solitudine amara (Reading every book and watching every film alone here in my room/Which skills I should use to make a friend or two? di “Vitamin D”). Qualcosa, dunque, davvero non va e l’album un po’ ne risente. Chandler vorrebbe poter rivendicare un carattere più marcato (I wish I could scream like Kurt Cobain si sente in “Mister Mediocrity”), ma rimane appiattito sotto una patina opaca.
Consiglio d’ascolto: “I Never Arrived” potrebbe essere una buona compagnia in una sera in cui non si è propriamente di buon umore e si è deciso di restare a casa, “in perfetta solitudine”, proprio come l’album è stato scritto.