C’è qualcosa di magico, in una città come Londra.
Non lo dico per circostanza e a parlare – ve lo giuro – non è il cuore di un ragazzo che di questo posto si è innamorato un bel po’ di anni fa, ben prima di scegliere di farne la propria (seconda) casa. Londra ha la musica, la festa, nel proprio cuore. Ed è così genuina che la si può respirare nell’aria di una qualunque domenica mattina di mezza estate. Quell’estate che a queste latitudini rimane sempre sul “chi va là ” ma che quando sceglie di mostrarsi riesce a rendere ancor più incantevole quella che definirei la capitale della nostra Europa, uno dei pilastri che regge il globo. E chi se ne frega, per un istante, delle preoccupazioni che questa meschina Brexit sta facendo nascere.
C’è una giornata di musica e di emozioni da vivere e la strada che porta a Victoria Park dalla stazione di Mile End è un fiume umano che si muove lento e ordinato. Citadel Festival è giunto alla seconda edizione e arriva giusto all’indomani di Lovebox – altra sontuosa kermesse dell’estate londinese. Dopo lo straordinario successo di pubblico e di critica del 2015 (con headliners come Ben Howard e Bombay Bicycle Club era comunque difficile non fare il botto) ecco dunque un nuovo capitolo con altri nomi altisonanti. Sono eccitato, perchè il cartello, assieme a quei giganti islandesi chiamati Sigur Rós, propone anche gente come Caribou, Calexico, Nathaneil Rateliff and The Night Sweats. Il tutto solo a voler rimanere al main stage, senza dunque considerare la miriade di altri acts sparsi per uno dei parchi più grandi e più belli della city.
E’ un bell’affare, andare ai festival. Si, perchè servirebbe il dono dell’ubiquità per vedere tutto e sentire tutti. Quindi serve un po’ di organizzazione e serve tenere a freno gli animi festosi di amici ai quali non cambia poi molto se una Susanne Sundfør qualunque o i Battles passeranno inosservati. E’ una giornata di festa e tanto vale viversela appieno.
Antimony
Nel primo pomeriggio, Victoria Park è ancora avvolto in una coltre di nuvole sonnolente. Migliaia di cuori cominciano a riempire la venue, a girare tra i diversi palchi, chi intento a fare incetta di birre, chi a mangiare hamburgers o altre delicatezze, chi ancora a farsi tatuare il viso. Io – che già mi sono perso il primo gruppo, gli sconosciuti Cosmic Gate – sento già alcuni riff di ben congegnato alt-pop provenire dal main stage. Mi avvicino e sono appena in tempo per godermi il set di Antimony. Loro sono un trio, islandese di Reykjavik, che suona una via di mezzo tra pop, elettronica e psichedelica. Un po’ quello che sarà il “fil rouge” dell’intera giornata al Citadel, per inciso. La loro scaletta include i pezzi dell’EP “Ova”, l’unico disponibile su YouTube e profilo Bandcamp della band. Rex, Siggi e Biggi (così si firmano) suonano le varie “Derelitte”, “Wait Around”, “Pink Clouds”, “Club Trash” prima della bellissima “So Bad”, che mi prende non poco. La chiusura con “Who I Am” fa il resto e strappa meritati applausi. Li vedremo con un album? Dicono di si, in gentile risposta a un messaggio su Facebook. Li aspetto, con curiosità .
Susanne Sundfør
Di Susanne avevo sentito già parlare. Aveva firmato un paio di pezzi dell’ultimo disco di M83, da me recensito (qui) qualche mese fa. Del suo progetto solista conoscevo poco o nulla e devo ammettere che è proprio lei la più bella – e inattesa – sorpresa della prima parte del mio festival. Il suo set si snoda lungo 10 brani che coprono per lo più l’ultimo disco “Ten Love Songs” (2015) e qualche successo più datato. “White Foxes”, in particolare, accende gli animi dei presenti, mettendo a nudo tutta la cristallina bravura artistica di questa brillante voce scandinava che ama saltellare tra pop d’autore e sintetizzatori. Mi scuote, anche e soprattutto qualche fa salire i giri del Citadel con il più recente singolo “Accelerate” o con “Delirious”.
E’ il momento del primo break, che mi porta a mangiare un boccone e a farmi una birra (magari due, ok) attorno al parco. L’atmosfera è delle più distese. Riesco a beccare un frammento di Tinariwen al Soundcrash stage, quindi il mio vagare mi porta a sfiorare altri set di indie electro che sfocia nel sound – più cattivello – della scena clubbing più celebre della città come nel caso del palco del Fabric.
Cat’s Eyes
Sono giusto in tempo per tornare in zona main stage con nuove energie per il set di Cat’s Eyes. Il cielo su Victoria Park è ora blu, con un sole caldo a illuminare una distesa di migliaia di persone. Il duo composto da Faris Badwan (voce) e dalla polistrumentista italo-canadese Rachel Zeffira sfoggia invidiabile completi neri e dorati, con occhiali da sole quanto mai necessari. “Treasure House” è il nuovo album, uscito a inizio Giugno, che questi eclettici ragazzi portano sul palco, percorrendone i principali passaggi. Il loro alternative pop si mischia ad atmosfere da colonna sonora, in “Chamaleon Queen” oppure nella più elettrica “Standoff”. Sono variegati quanto basta, alzano il volume del Citadel e l’eccitazione per la seconda parte della giornata.
Nathaniel Rateliff and The Night Sweats
E’ stato un 2016 di assoluto successo per Natheniel Rafeliff e la sua band. Per il musicista del Missouri, barba lunga e abito di pesante stoffa indie-folk-rock, questo progetto di profonda soul in chiave rithm’n blues ha portato le luci della ribalta. Tanto da ottenere disco d’oro e di platino per il singolo “S.O.B.” tratto dal più recente, eponimo album. I dieci pezzi del loro palco al Citadel vivono di vibrazioni rock e di un generale caleidoscopio di melodia e ritmiche che nel proprio piccolo quadro rappresentano l’essenza di questo festival.
Calexico
Il pomeriggio scorre lento e sotto un sole che si fa via via cocente. Scelgo di rimanere in zona principale, nonostante qualche indie act interessante stia prendendo posto sui vari palchi secondari. è il turno di Calexico, a chiudere la folta schiera di supporting acts prima degli artisti più attesi. Joey Burns e John Convertino suonano assieme dal 1996 in questo progetto tra indie, latin rock e jazz. Una svariata serie di album alle spalle, hanno carattere e grinta da vendere, tanto che le varie “Falling From The Sky”, “Cumbia de Donde” è la gitana “Gà¼ero Canelo”, sono la perfetta soundtrack per proseguire verso i pezzi forti del Citadel.
Caribou
Arrivano sul palco di bianco vestiti, frontman Daniel Victor Snaith e soci, all’anagrafe Caribou. è un set rumoroso e colmo delle molteplici sfaccettature che la loro musica propone. Si fanno ben volere da un pubblico che ora gremisce l’area fronte palco, si agita, sgomita, animato dal sole estivo. Nonchè da una leggerezza che si coglie anche nelle numerose ragazze che – salite sulle spalle di qualche generoso amico – non mancano di farsi immortalare sui maxi-schermi mostrando le proprie virtù. Anche i Caribou, lassù sul palco, se la ridono di gusto e le varie “Our Love”, “Silver”, “All I Ever Need” sono il felice aperitivo a una serata con cielo terso e nemmeno una nuvola all’orizzonte. La gran chiusura – dopo poco più di un’ora – spetta a “Can’t Do Without You” e “Son”. è una sorta di estasi, l’anello di congiunzione verso i Sigur Rós con un tocco di (acido)elettronico stile.
Sigur Rós
Eccoci all’atto finale, dunque. Victoria Park è zeppo, la giornata volge al termine e sotto un tramonto di rara bellezza entrano in scena loro, gli ospiti più attesi per l’esclusiva data UK di quest’estate. In molti si chiedono se la band islandese abbia quanto meno risentito della dipartita di Kjartan Sveinsson. La riprova arriva con “à“veà°ur”, il nuovo singolo uscito a fine Giugno e apertura del set tra tipiche atmosfere eteree e riverberi soffocati mentre Jonsi sfibra il suo archetto sulla chitarra elettrica. Un’ipnosi generale colpisce le migliaia di persone che assistono allo spettacolo. Perchè di spettacolo – nel senso più pieno del termine – si tratta, con un’evoluzione musicale che in 12 brani entra nelle vene e pian piano stana sensazioni nascoste e irrimediabilmente potenti. Un brivido lungo un’ora e mezza, che passa attraverso la potenza post-rock di pezzi quali “Glósóli”, “Festival”, oppure “Vaka” dal capolavoro che fu “( )”. Manca “Hoppipolla”, che aspettavo a dire il vero, ma non importa. Il gran finale è comunque servito con la doppietta “Hafsól” e “Popplagià°”: 25 minuti di tempesta elettrica, veloci cavalcate oniriche e il falsetto di Jonsi sul quale non resta che chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, in un volo infinito.
Finisce tutto così, con il trio che sul palco perde il controllo, lancia microfoni, ampli e piatti della batteria, tra sudore e un pizzico di commozione. It was incredible, sento sussurrare alle mie spalle. Ed è proprio così, nell’insieme di un festival – il Citadel – che per suoni, colori e immagini, ha già una personalità ben definita e si erge a piccola gemma dell’estate musicale londinese. Nella lenta camminata che mi riporta alla stazione, mi rendo conto di aver mancato una serie di altri acts che mi ero prefissato: Battles, ma anche Gogo Penguin, Island, Billie Marten oppure Flyte. Poi mi guardo attorno, vedo facce lunghe, stravolte e felici nel contempo. Mi stringo sulle spalle, sorrido anche io e torno a chiacchiere con gli amici, compagni di viaggio in questa giornata meravigliosa.