A tre anni da “Somewhere Else”, uscito sotto la nomenclatura Indians, e dopo un ritorno dagli States nella terra madre, Søren Løkke Juul è tra i protagonist della prima metà di 2016 con un nuovo lavoro in studio. This Moment fa capolino ancora sotto 4AD, la rinomata etichetta britannica che accoglie sotto la propria ala artisti del calibro di Bon Iver, The National, Beirut. Non è un caso, del resto, che questo artista nativo di Copenhagen sia stato presto ribattezzato il Bon Iver – in chiave synth – della Scandinavia.
La sua storia è un racconto abbastanza intricato, fatto di viaggi (andata e ritorno) tra la calma della Danimarca e la confusione delle metropoli americane. E’ un percorso che non risparmia momenti di confusione emozionale, alla scoperta di una vulnerabilità che ora è nuda e piuttosto evidente al cospetto dell’ascoltatore. Si muove quasi in punta di piedi, This Moment. Lo fa tra atmosfere synth-folk che fanno da caldo contorno alla bella voce di Juul. “Ambitions” è la piccola perla che apre il disco, principio di 42 minuti di altalenante intensità musicale. Una maniacale cura del particolare sembra trasparire fin dalle prime battute, in un contesto che non si discosta nemmeno per un istante dal filo rosso che unisce le 10 tracce dell’album.
A differenza del percorso intrapreso in precedenza con Indians, Søren Juul somiglia ora a qualche cosa in più di un semplice progetto solista. Potrebbe semplicemente imbracciare una chitarra acustica e suonare unplugged. Ma c’è un piccolo paesaggio fatto di elettronica e suoni sintetici a fare da contorno ai pezzi del disco, che mostra con “Dear Child” e “Greenpoint” due punti di certosina ricerca e sperimentazione. “Ho perso me stesso, a un certo punto. Correvo a più non posso, correvo attorno a me stesso e ho perso l’obiettivo. – ha ammesso il cantautore in una recente intervista – Cercavo risposte che non riuscivo a trovare, così ho scelto di scappare, di rifugiarmi in luoghi inadatti. Sono stato così vicino a perdere tutto, famiglia, amici, l’amore delle persone a cui tengo di più”.
Il ritorno sul tracciato si concretizza allora nelle liriche dense, intrise di inquietudine, di This Moment, un disco azzeccato e nel complesso positivo, che vive con “Don’t Want To Fool You” e la sontuosa “Manly Beach” i momenti di maggiore intensità . Prima di perdere un po’ lo smalto, questo va detto, in una seconda parte che porta (attraverso passaggi meno ordinati) alla chiusura con “Seventeen”, nella quale riecheggiano atmosfere sognanti, e la title-track “This Moment”. E’ il ritorno a casa di Søren. There was rain, and it came with horror, and it’s cold, and it makes you cry. There’s a place in the north I belong. There is a noise in my head to avoid, sussurra in un trionfo di archi e percussioni.
E’ la chiave di tutto e Juul ce lo racconta disarmato e senza vergogna. Perchè non c’è nulla di disumano o di cui vergognarsi, nel riconoscere i propri errori, i propri passi sbagliati. E tornare in carreggiata, più forti di prima.