Ho Chi Minh, ex Saigon. “Cyclo” (“Le Van Loc”) è un bambino e come tutti nella sua famiglia deve lavorare per vivere. Porta i soldi a casa facendo il tassista con un risciò, preso a noleggio da una boss della malavita locale. Quando questo gli viene rubato, per ripagarlo è costretto a lavorare per una gang di malviventi e fa la conoscenza del capo soprannominato “il Poeta” (Tony Leung Chiu Wai) che, costringe la sua sorella più grande (Tran Nu Yàªn-Khàª) a prostituirsi.
Il regista franco-vietnamita Tran Anh Hung, alla seconda prova dopo “Il profumo della papaya verde”, usa la cinepresa come una lente d’ingrandimento sul formicaio brulicante di promiscuità e violenza in cui sono immersi i protagonisti. Il risultato che ne esce fuori è un ritratto neorealista e senza stereotipi della società vietnamita, dopo la fine della guerra del Vietnam e la “liberazione” di Saigon, che può trovare come pellicole di riferimento “Ladri di biciclette” e “Sciuscià “.
Il film di Anh Hung è infatti portatore delle stesse esigenze che avevano mosso De Sica e Rossellini nell’immediato dopoguerra; la voglia d raccontare una società che provava a rinascere dalle proprie ceneri. A differenza però dei capolavori italiani, dove non viene utilizzato alcun artifizio registico nella messa in scena “nuda e cruda”, in “Cyclo” le vite dei personaggi sono manipolate e montate in un carillon allucinato di disperazione che ne proietta sullo schermo le paure e il desiderio di redenzione. Vincitore del Leone d’oro alla 52 ª Mostra di Venezia, è uno dei film più belli degli anni 90′.