Ogni estate regala almeno un disco delicato, sognante, leggero solo in apparenza, capace di far spuntare un sorriso anche sul volto di chi ad agosto inoltrato non ne può più del solleone, delle creme solari, dell’aria condizionata. Quest’anno tocca a “And Then Like Lions” di una piccola tribù chiamata Blind Pilot essere il candidato perfetto per questo ambito ruolo. La storia dei Blind Pilot sembra uguale a tante altre: una band nata quasi per gioco e cresciuta piano piano, complice l’aria sbarazzina e un po’ hippie che si respira a Portland. Guidata da Ryan Dobrowski e da un gran bel personaggio di nome Israel Nebeker, uno che ha girato mezzo mondo e a un certo punto è finito anche alle Hawaii a lavorare in un negozio di biciclette, con l’aiuto di Luke Ydstie, Kati Claborn, Dave Jorgensen e Ian Krist. Ne hanno fatta tanta di strada dall’esordio “3 Rounds and a Sound”, utilizzando quasi ogni mezzo a loro disposizione (biciclette comprese ovviamente).
Ma poco sembra essere cambiato per questi ragazzi, anche se sono passati cinque anni da quel “We Are the Tide” che tanto era piaciuto e sembrava averli proiettati in un altro mondo (apparizione chez David Letterman inclusa). Dove eravamo rimasti sembrano voler dire i Blind Pilot già con le prime note di “Umpqua Rushing”, scusate l’attesa. Per perdonarli basta avere pazienza fino a una “Moon At Dawn” fresca e malinconica o al piccolo ritratto di vita precaria di “Packed Powder”. La ricetta dei Blind Pilot è semplice, come sempre, ma ben fatta come gli aperitivi migliori. Un’atmosfera che non può non ricordare i compagni di etichetta Okkervil River (“Seeing is Believing”, “Which Side I’m On”) con le armonie dei The Lumineers (“Don’t Doubt”) e quella maestria nello scrivere canzoni piccole ma significative tipica del folk, versione Americana e non. Scriverle partendo dalle basi (una voce, pochi accordi di chitarra come in “It Was Enough”) e arrangiarle con tenacia, rendendole particolari.
Si arriva perfino nel profondo Nord del Circolo Polare Artico con “Joik #3”, canto d’onore e gloria tipico della tradizione del popolo Sami che Nebeker trasforma in una ballata dedicata al padre che da quegli uomini nomadi per vocazione discendeva. “And Then Like Lions” parla di questo e molto altro. Di cosa significa perdere qualcuno, di coraggio e insicurezze. Israel Nebeker si supera in “What Is Yet”, cuore in mano e fifa blu su un tappeto di archi per una delle canzoni più riuscite del lotto. Ascoltare “And Then Like Lions” è come fare una chiacchierata con un vecchio amico sparito chissà dove (succede anche al tempo di Facebook). Si ride, si scherza. Inevitabilmente si finisce per ricordare il passato, con nostalgia.