Local Natives tornano a bussare alle nostre porte. Lo fanno a tre anni da “Hummingbird” e con la consueta eleganza, portando in dono “Sunlit Youth”. Terzo capitolo discografico per la indie pop band di LA, si tratta del mattone fondamentale per una band in cerca di conferme dopo il gran successo dei primi due album.
E’ un disco maturo e dai toni sufficientemente distesi, lo diciamo subito. Un lavoro anticipato ad Aprile con il primo estratto ““ “Past Lives” ““ in cui Local Natives sono andati a sfoggiare un suono rinnovato e arricchito da synth e altre sottigliezze in grado di spostare di non poco l’orecchio dell’ascoltatore. Quello abituato a un indie rock un po’ ruffiano che ne aveva contraddistinto gli esordi, insomma. Sia chiaro, non siamo di fronte a uno stravolgimento vero e proprio. Nei 45 minuti di “Sunlit Youth” ci sono tutti gli ingredienti che Taylor Rice e soci hanno sempre messo sul piatto: quell suono un po’ catchy, ma contornato, stavolta, da qualche ghirigoro in più che rende il disco più sperimentale del previsto.
Non ne ha fatto mistero, Rice, chitarrista e voce di questo progetto, il quale ha affermato di aver scritto questo nuovo LP con un maggiore consapevolezza, immergendo le liriche in una necessità di cambiare il corso delle cose, di plasmare il proprio percorso in maniera da renderlo il più possibile adatto alla propria esistenza. Eccolo qui, dunque, lo spessore di una band fattasi più adulta. “Dark Days” e “Fountain of Youth” mettono i puntini sulle “i” a quanto affermato dal frontman poco più sopra, aprendo un percorso che si snoda attraverso passaggi importanti e senza momenti vuoti.
L’elettronica, da potenziale elemento di rischio, si mantiene su toni sostanzialmente bassi. “Jellyfish” è forse il momento più rappresentativo dell’album, in una commistione di ostinate percussioni, campionamenti e cori alla Band of Horses. “Coins” e “Mother Emanuel” danno invece sfoggio di un certo virtuosismo alla chitarra e compongono due quadretti un po’ strampalati, ma che seguono il filo rosso che unisce questo “Sunlit Youth”. “Everything All At Once”, infine, è la riprova della grande abilità artistica di questi quattro ragazzi.
Non sarà quel disco in grado di far strappare i capelli ai fans o all’ascoltatore medio, ma questo nuovo Local Natives aggiunge materiale di pregevole fattura ““ compositiva e di esecuzione ““ a un catalogo già di per sè di grande valore. Contribuisce a rendere più solida l’ossatura di una band nata e cresciuta con l’estro di chi sa di poter fare dell’ottimo rock vecchia maniera, senza disdegnare qualche moderato volo verso altri orizzonti. Ecco dunque che questo album somiglia più a un momento di passaggio che di vera e propria svolta. Si, perchè sembra di capire che il percorso di maturazione della band stia proseguendo senza fretta ne’, soprattutto, forzature. E questo ci fa piacere, eccome.
Credit: Renata Raksha