La voce cullata dalla chitarra di “Middle Names” apre l’ultimo album del folksinger vagabondo Devendra Banhart. Il cantautore texano dall’aurea misteriosa, nomade d’America ed ex busker in giro per gli Stati Uniti, è al suo decimo lavoro. E ancora una volta ci trascina indietro nel tempo, recuperando suoni che sembrano non sincronizzati con la frenesia contemporanea. Strumentazione scarna con una chitarra protagonista assoluta, parole ripetute a oltranza, voce sussurrata e vibrata nel microfono: sono questi gli ingredienti che Devendra mescola e rimpasta, nei quali ogni tanto inserisce pizzichi più ritmici, sonorità ovattate o tocchi di synth e percussioni. Il disco è una quieta passeggiata tra i deserti contorni texani, dove nulla succede e nulla ci si aspetta. Ed è proprio questo in fondo che ricerchiamo nei suoi cd: un ricongiungimento con un Vecchio Selvaggio (nel senso di naturalmente primitivo) Ovest, popolato da villaggi semidisabitati, strade deserte e paesaggi infiniti, dove tutto scorre e si lascia scorrere.
“Mara” ha un sapore quasi peruviano, Fig in Leather mixa anima latina e reminiscenze disco, altre spaziano dal Taiwan al classico folk statunitense: Devendra Banhart ci porta in sella per il mondo anche senza scostarsi dal suo definitissimo stile gipsy folk. Pur senza essere rivoluzionario o innovativo, “Ape in Pink Marble” è affascinante e un po’ freak, proprio come il suo creatore. è una morbida e piacevole clessidra temporale che sembra emergere da tempi perduti solo per riportarci laggiù con lei, anche se solo per la durata di 13 omogenei, dondolanti e soavi brani, cantilenanti ninna nanne per le nostre routine in costante tachicardia.
Photo: Yann Caradec / CC BY-SA