Non era passato poi tanto tempo dall’ultimo lavoro dei Crocodiles “Boys” del 2015, ma dopo un anno il duo californiano torna con Dreamless, dieci brani inediti dall’ascolto immediato.
In un momento musicale di negazione delle origini, di amnesia dello stile e del trasformismo ideologico, “Dreamless” dei Crocodiles resta in bilico tra l’autentico e l’artefatto. O meglio, tra la musica che ha qualcosa da dire e quella che è muta. In questo caso i Crocodiles hanno qualcosa da dire, anche se è meno del solito.
Le idee non sono sempre brillanti, e un paio di pezzi suonano come riempitivi, nel complesso però “Dreamless” è un buon album. La traccia d’apertura è molto piacevole, un bel brano, si intitola Telepathic Lover e rischia di sembrare il formaggio sulla trappola per topi, ci porta nel disco per poi lasciarci rendere conto che quel sound, fresco, rinnovato ma collaudato e soprattutto coerente, è soltanto un ponte verso il nuovo sound meno personale.
La produzione è di ottima fattura, curata in ogni dettaglio e forse anche meglio di alcuni lavori precedenti, ma il nuovo sound rischia di svuotare brani che con un’impostazione e un’arrangiamento diverso sarebbero stati migliori. Ad esempio “Welcome to Hell” è il peggior brano del disco, ma le stesse regole applicate a “Jailbird”, “Time to Kill” e ad “Alit”a ottengono un risultato più felice. In ogni caso queste quattro canzoni non caratterizzano particolarmente l’album.
“Dreamless” si regge grazie ad alcuni brani davvero belli: la seconda Maximum Penetration, a metà tra l’esotico e lo psichedelico, che poi è il marchio di fabbrica dei Crocodiles dai primi lavori; Go Now, lenta e particolare, completa di beat inusuale.
“Juping on Angels” è uno dei brani migliori e sposta il piano di lettura dell’intero disco grazie a sonorità tradizionali ma stravolte dalle loro funzioni originali. Allora i Crocodiles lanciano un mixaggio ruvido, tra batteria lontana, basso sgraziato e più che presente, e un pianoforte verticale.
Un brano che potrebbe far gola ai Kasabian e che ricorda quanto il duo di San Diego faccia musica di qualità . Sì, in qualche momento di Dreamless è stato necessario ricordarlo, ma non è un problema.
Chiusura in volata con la bellissima “Even in your dreams”, e l’appuntamento con i “Dreamless” si conclude in modo piacevole con i Crocodiles che scimmiottano i Supergrass in sonorità tenui e impeccabili, compreso il pianoforte con accordi un po’ acidi giusto per ricordare che a San Diego i coccodrilli sanno bene cosa siano le melodie ripetitive e la psichedelia.