Dodici anni di carriera sono tanti per qualunque band. Parlando di Alec Ounsworth e dei suoi Clap Your Hands Say Yeah quel numero fa un’impressione ancora maggiore. Pochi avrebbero scommesso che sarebbe durata tanto l’avventura dei CYHSY, nata un po’ per caso grazie all’interesse di blog e webzine che nel 2005 stavano iniziando ad avere voce in capitolo. Eppure, tra inevitabili alti e bassi, la prima generazione di band indie ““ naute, quelle che il successo l’hanno ottenuto grazie al web, è riuscita a sopravvivere. Solo fortuna?
Ascoltando “The Tourist”, quinto album dei Clap Your Hands Say Yeah, si capisce che oltre alla buona stella c’è di più. Sembra impossibile ma anche Alec Ounsworth è cresciuto. Non invecchiato, sia chiaro. Non è certo diventato la classica eminenza grigia che dà consigli ai pronipoti 3.0 tra un beat e un glich. Però l’esperienza fatta, i chilometri macinati, i progetti paralleli, un disco solista nel 2009 (“Mo Beauty”) e una line up in continuo cambiamento hanno lasciato il segno. E Alec Ounsworth è (finalmente dirà qualcuno) maturato. Forse perchè ha deciso di fare a meno delle collaborazioni di grido, Matt Berninger e Kid Koala che facevano capolino in “Only Run” ad esempio, Ounsworth finisce per parlare molto di sè. Ma non in modo spiacevole.
Creativo con i suoni lo è sempre stato, in quest’album dimostra di essere diventato abile anche nei testi. Sintetizzatori, armonica, chitarre acustiche, pop, effetti vari: non manca nulla in “The Tourist”, che potrebbe piacere anche a chi finora non ha apprezzato l’ Ounsworth-pensiero o il suo falsetto estremo. Magari non saranno più rivoluzionari i Clap Your Hands Say Yeah ma hanno ancora qualcosa da dire al contrario dei vari Peter, Bjorn & John e Architecture In Helsinki. O per citare Mr. Ounsworth in “Loose Ends”: “I can take a breath and settle down / this revolution is only in my head“.
Credit Foto: Ian Shiver