I Gazebo Penguins sono tornati alzando l’asticella. Sono finiti i tempi in cui il gruppo di Capra e co aveva il desiderio di raccontare sogni perduti di una generazione X dalle contorte ambizioni e dall’incerto futuro. In “Nebbia” la band trova una nuova dimensione, che indaga su due nozioni tanto radicali quanto fondamentali per l’uomo: il tempo e lo spazio.
La nebbia è una cornice adatta a nascondere un disco difficile da raccontare, la situazione è simile a quando Sant’Agostino cercava di spiegare il tempo: il concetto in testa è molto chiaro tuttavia a parole è difficile partorire un’idea su un lavoro che non solo rappresenta un salto di qualità , ma un nuovo inizio.
Il panorama intorno alla concezione dell’album è completamente diverso, tutto appare connesso in uno scenario rupestre, accattivante e selvaggio; il nuovo paesaggio invocato dai Gazebo è un quadro, una veduta, per fissarci un’immagine. Credo si possa equiparare Nebbia alle immagini scattate dagli orbiter lunari intorno al 67: tutto è in equilibrio nel disco, come nei panorami del nostro satellite, le accelerazioni ritmiche sono precise e inevitabili, i brani suonano da soli.
La caratteristica più vicina al passato del gruppo è l’enorme credibilità dei pezzi che si tengono perfettamente in piedi. I testi sono molto ambient, nel senso che è molto viva la componente legata ai luoghi raccontati dal gruppo; durante l’ascolto sembra di stare insieme a loro in uno studio di registrazione con vista su uno sterminato bosco.
L’idea di ambiente viene fuori in brani come “Pioggia”, “Bismantova” e “Nebbia”, ma in ogni traccia ci sono luoghi e volti più o meno delineati estremamente interessanti.
La catena solidale evocata da Leopardi nella sua ultima poesia diventa un pallottoliere musicale che cesella un album certamente accattivante.
La caratteristica principale del disco non è quella di farci saltare dalla sedia, come magari poteva succedere quando in una playlist partivano “Senza Di Te” o “Il Tram Delle Sei”: “Nebbia”, nella sua interezza, risulta invece molto vissuto, adatto all’ascolto e mai eccessivo.
“Soffrire non è utile” è un brano dove viene fuori la vecchia cifra stilistica dei Gazebo, unita ad un nuovo sound che più che da ascoltare è da percepire, accudire e far crescere.
Alla fine di un ulteriore riascolto ho deciso di disapprovare aspramente ogni persona sulla Terra che criticherà questo disco perchè attaccare Nebbia è come prendersela con un fratello, un amico che tornato dopo un viaggio ci racconta dei suoi cambiamenti.
I Gazebo Penguins incidono gli squarci di Fontana sulle basi del loro disco, ma sopra ogni solco disegnano delle terre meravigliose che, anche se non del tutto nuove, risultano comunque di grande effetto.