Sono una cantante al servizio delle canzoni che segue il cuore fin nella stratosfera e oltre. Si presenta così Valerie June. Splendida signora del Tennessee trapiantata a New York che quando la creatività bussa alla porta preferisce i grandi spazi degli studi di registrazione Guilford Sound in Vermont ai mini appartamenti della Grande Mela. Capelli rasta intrecciati, un sorriso contagioso e una voce che graffia l’anima. “The Order Of Time”, nuovo album dopo tre autoproduzioni e quel “Pushin’ Against A Stone” che nel 2013 l’aveva fatta notare come uno dei talenti più promettenti del soul e del folk blues contemporaneo, è il disco della maturità . Dolce ma non troppo, spirituale senza cercare di convertire nessuno, ricco di influenze diverse (soul, blues, bluegrass, folk ma anche gospel e country) è un piccolo viaggio che parte dall’America e arriva a toccare le coste africane.
Si è scelta dei compagni interessanti Valerie June in questa nuova avventura. Il padre e i fratelli che fanno capolino nella movimentatissima “Shake Down”, Pete Remm all’organo B3 e alle tastiere, la violinista Mazz Swift e Norah Jones ai backing vocals. Ma a brillare è soprattutto lei, Valerie, che fin dalle prime note della malinconica “Long Lonely Road” mostra di possedere il magnetismo delle interpreti di razza. “The Order Of Time” è un disco completo, il minimalismo sonoro di “If And” e dell’ipnotica “Man Done Wrong” (banjo voce e poco altro) si arricchisce di suoni, colori, atmosfere da “The Front Door” in poi. Un’evoluzione non brusca ma gentile, fatta di piccoli cambiamenti più che di grandi battaglie. Il vero punto di svolta è “Astral Plane” che originariamente doveva essere inclusa in un progetto dei Massive Attack e invece col tempo si è trasformata fino a diventare una ballata di gran classe.
Ci sono artisti che hanno immaginazione altri che hanno personalità , Valerie June le ha entrambe. “The Order Of Time” finisce in crescendo, con i violini di “Just In Time” e “With You”, l’arrangiamento jazz di “Slip Slide On By”, la tensione di “Two Hearts” e il ritmo funky di “Got Soul”. Il disco della maturità dicevamo, in cui Valerie June cambia pelle e riscopre la speranza giocando con il passare del tempo e delle stagioni. Una maturità che arriva al momento giusto anche grazie all’aiuto del produttore Matt Marinelli che ha preso il posto di un certo Dan Auerbach (Black Keys) che si era occupato di “Pushin’ Against A Stone”. Un album elegante e intenso, sognante, vecchio stile ma non retrò che non solo conferma le doti di Valerie June ma le esalta.