Quando si ascolta qualcosa che si presenta apparentemente come complicato e sfaccettato e non si coglie nulla, o poco di buono, il primo istinto è quello di prendersela con la propria capacità critica: ripensi a “Yoshimi Battles the Pink Robots” ed imputi quel piattume a te stesso. Del resto sono i Flaming Lips e tu non sei nessuno.
Seppure siano passati quindici anni da “Yoshimi” e diciotto da “The Soft Bullettin” la speranza è sempre quella di trovarsi di fronte ad un tripudio acido, sintentico e fiabesco ed il singolo di lancio “The Castle” faceva proprio sperare in quella direzione: con quella chitarra luminosa in apertura e quel clima magico ed alieno. Pareva veramente che si stesse muovendo qualcosa di grosso e qualcosa che muovesse il più genuino istinto nostalgico. Non che ci sia nulla di necessariamente buono nell’effetto-nostalgia, anzi alla lunga la cosa può essere pure nociva; certo è che i cambiamenti siano sempre complicati, sopratutto quando la carriera che ci porta dietro è così ingombrante.
Quindi, penso che innanzitutto si dovrebbe necessariamente apprezzare il coraggio di chi dopo venticinque anni di carriera prova a reinventarsi e a dare una svolta più cupa e “matura” (per quanto sia un termine terribilmente abusato) alla propria poetica; questo percorso iniziato con il precedente “The Terror”, trova compimento in “Oczy Mlody” in cui il l’immagine più cupa e dura trasmessa dalla musica trova il proprio punto di contatto con l’immaginario sovrannaturale e fantastico di cui la band si è sempre fatta portatrice.
Il problema di fondo però è la realizzazione: è apprezzabile la svolta, è apprezzabile l’incupimento che prende forma attraverso l’utilizzo massiccio di synth e drum-machine ma è molto meno apprezzabile il prodotto finito.
“Oczy Mlody” è un album che sembra complicato ma che in realtà è solo, incredibilmente, pesante: i brani infatti, uno dopo l’altro, si assomigliano tutti e sono cupi, claustrofobici. Mancano di ossigeno e non sono avvolgenti. Ed anche gli episodi migliori (“There Sholud Be Unicorns” e “One Night While Hunting For Faeries and Witches ad Wizards to Kill”) finisco per essere tirati giù da questo pesantissimo pantano sintetico.
Tra tutti, due momenti risaltano per inconsistenza: “How??” e “Galaxy I Sink”, brani questi dal titolo, a loro modo, profetico.
La prima addirittura scelta come secondo singolo promozionale, cosa questa, per me, incomprensibile: parliamo di brani veramente vuoti di contenuti e dalla portata emotiva pressochè nulla. Due colpi pesanti nell’economia di un album che all’ascolto risulta così pesante.
A fare da contraltare troviamo la già citata “The Castle” e la conclusiva “We a Family”, in cui ricompare la musa recente di Wayne e soci, ossia Miley Cyrus. Le uniche due canzoni che riesco a portare ossigeno (perchè si tratta proprio di tirare il respiro in un mare di sintetizzatori e pesantezza.
Niente di trascendetale, solo brani che riescano a rispolverare quel clima da inno nazionale magico ed accecante tipico della band.
In definitiva, “Oczy Modly” è un album in cui si trovano veramente pochi spunti di riflessioni: brutalmente, è un lp che si posa su un concept che potrebbe essere quasi buono ma che, nella realtà dei fatti, viene affrontato in una assolutamente troppo pesante all’ascolto. Se l’obiettivo era quello di trasmettere ansia al fruitore direi che è stato raggiunto appieno, ma non nella maniera in cui sicuramente la band sperava di veicolare il sentimento.