La malinconia di perdersi in spazi elettronici e boati allucinanti di valvole e sintetizzatori. Ecco cosa nasconde Ties, nuovo sorprendente lavoro di Echopark aka Antonio Elia Forte.
Ognuno ascoltando dischi cerca qualcosa di estremamente personale e forse poche volte ci si chiede perchè lo si fa, il motivo della ricerca è altrettanto intimo, ma qual è il motore che ci spinge sempre a scoprire nuove storie dietro le copertine, ormai digitali, degli album?
“Ties” è una chiave per dare una risposta a questa domanda e forse tutti noi ascoltiamo ancora dischi, playlist o singoli per il puro piacere di meravigliarci, entrando in simbiosi con elementi che nonostante siano lontani offrono sempre nuovi orizzonti.
Ascoltare un album così è un pochino come farsi leggere Il Signore degli Anelli da Tolkien, ovvero un abbraccio confortante tra la tua infanzia e il caos della Terra di Mezzo.
La struttura ritmica, nonostante durante il disco offra scorci di cieli elettronici e immensi, viaggi interstellari e mondi inesplorati, rimane caustica, graffiante e una serie di beat meravigliosamente incastrati pezzo dopo pezzo, permettono di rendere ogni angolo dell’album estremamente gradevole.
Le visioni di “Ties” sono vicine all’Op Art del defunto artista Julian Stanczak, pittore che attraverso i suoi acrilici creava figure geometriche colorate, con uno spiccata capacità nell’assumere vita propria e punti di vista personali.
Proprio così: in dei maledettissimi quadrati si nascondono delle riflessioni universali sul colore e sulle forme e proprio come ogni beat di questo disco, ogni elemento dei suoi dipinti ha un’individualità forte e riconoscibile.
Gli slanci cantautorali presenti in alcuni pezzi ricordano Sufjan Stevens, tant’è che la fine di “Aleppo”, uno dei pezzi più belli di “Ties”, si collega naturalmente ad un brano come “The Only Thing” di Stevens, con un aggancio tra un pezzo e l’altro assolutamente naturale.
Interessante anche vedere come la poetica del suono di Echopark si sia sviluppata da un primo lavoro molto vicino al suono degli Animal Collective. Oggi il sound si è spostato verso lidi cantautorali, non dimenticando però quelle distorsioni sporche da “cameretta”, tanto care a tutti noi.
I brani di “Ties” sono delle tavolette bianche contornate da scarabocchi, diagrammi, segni di matite rosse e blu. La capacità migliore espressa nel disco è stata quella di dare un tono sperimentale ad un disco che tutto sommato è abbastanza semplice nelle strutture dei pezzi.
Il tocco in più è dato dal naturale nomadismo dell’autore, che lascia un’impronta indelebile anche in questo secondo lavoro.
“Ties” è un disco che chiede di essere misurato, non solo su un’evoluzione musicale chiara, ma su dei sentimenti chiari, che non possono non palesarsi già dal primo ascolto.
“Ties” è un disco da lacrimoni, di quelli invisibili che alla ti porti dentro per un bel po’. Mi limiterò a mandare la fattura di uno psichiatra insieme ad un biglietto di congratulazioni.