Si apre tra i cinguettii “Rosewood Almanac”, il sesto album del cantautore statunitense Will Stratton. Dalla California al New Jersey fino ad arrivare a un’adottiva New York, Stratton si è nutrito dei germogli del cantautorato americano e li ha incisi su sonorità folk sognanti, rigorosamente alla chitarra. E questo disco è il suo taccuino di viaggio, un viaggio nell’animo suo e in quello di tutti, un viaggio in un vita e attraverso delle esperienze e dei pensieri che possono essere di ognuno. Fluido e intimo, al contempo ricco di strati e di pensieri sonori complessi, “Rosewood Almanac” è il frutto pronto per essere colto di un mix di passioni e influenze, dall’adorazione per Nick Drake alla musica da camera, dal minimalsmo e al britfolk d’autore.
La tenera “Light Blue” apre il disco, tra tocchi arpeggiati che caratterizzano anche la successiva “Thick Skin”. “Manzanita” traccia un sentiero sonoro leggermente diverso che rieccheggia di country ed è impreziosita dagli ornamenti di un sax lontano. “Vanishing Class” riporta in quel mondo vorticoso e avvolgente creato dagli abili e incantatori arpeggi di Will, e si rivela essere una dichiarazione di amore alla vita di un realismo reso romantico dai violini, che torneranno anche in altre tracce, a evidenziare la deriva poetica del disco.
“Whatever’s divine” è un grazie senza religioni e pieno di spiritualità all’esistenza, mentre la più intimista “I see you” racconta l’amore con grazia e profondità . “Skating on the Glass” è un breve piroettare musicale filosofico che ci insegna come Ciò che c’era prima è uno scherzo, e ciò che viene dopo è un koan e da qualche parte in mezzo è dove sei tu, quello che hai lasciato e dove stai andando.
“This is what we do” e “Ribbons” chiudono un disco che è un ritratto psicologico personale e universale, i cui testi potrebbero rimanere poesie anche senza musica. Un’analisi profonda, intima e curata dell’essere umano. Dell’avere crisi, dubbi, momenti difficili, altri felici, altri solitari. accompagnati dal una morbida chitarra acustica. Una pace interiore che arriva da una lunga ricerca nel testo e che la voce di cotone di Stratton fa filtrare in tutte le 10 tracce.
Un album che è un canto di sentimenti senza miele con e alla sua chitarra, a cui è dedicato il titolo: “Rosewood Almanac”, l’almanacco del palissandro, il legno con il quale vengono costruite i suoi strumenti preferiti.
Un ritorno sulle scene dopo gli anni della malattia (gli è stato diagnosticato il cancro, ndr) che mostra una conquista della maturità senza la rassegnazione che spesso trascina dietro.
Un risveglio alla tiepida luce del sole. Dove Will ci guida allo svegliarci con i sogni che scegliamo di tenere.