Nick Hakim è un ventisettenne di Washington D.C. che da qualche anno si è trasferito a New York dopo aver studiato al Berklee College of Music di Boston, lo stesso di St. Vincent e Esperanza Spalding. Due EP alle spalle (“Where Will We Go Part 1 & 2”) e una voce intensa che può essere dolce, melodica, passare dal falsetto alla delicatezza di atmosfere acustiche, dal pop al soul. “Abbiamo cercato di immaginare cosa sarebbe successo se RZA avesse prodotto un album dei Portishead” ha detto Nick Hakim raccontando la genesi di “Green Twins”, l’esordio sulla lunga distanza, citando come ulteriori fonti d’ispirazione John Lennon, Phil Spector, Outkast, My Bloody Valentine e Al Green.
Difficile mettere insieme così tante influenze diverse in dodici canzoni. Nick Hakim ci riesce, con personalità e un pizzico di sana follia. Il suo è un R’n’B moderno, geneticamente modificato, psichedelico, contaminato da ritmi hip hop (“Farmissplease”) e percussioni, colonizzato dall’intensità jazz degli Onyx Collective che in “Those Days” confermano di essere maestri d’improvvisazione creativa. Niente è come sembra nel mondo di “Green Twins”, neppure una ballata come “Needy Bees” dall’inizio che più classico non si può, piano e voce, che poco a poco si trasforma in una gioiosa confusione di suoni e colori. Anche le acide buone vibrazioni del sassofono dei Jesse & Forever in “Miss Chew” vengono stravolte e si vestono di una malinconia inedita.
Si può racchiudere l’anima di una città in quarantasei minuti? Nick Hakim ci prova raccontando le mille facce di una New York multietnica con le sue infinite realtà musicali, la frenesia di vivere, scoprire, vedere, assaggiare il mondo. Ma non c’è fretta tra le note di “Green Twins”. Un disco dinamico, sorprendente per come riesce a coniugare tecnica e emozioni. Il desiderio di “The Want” e “Bet She Looks Like You” e la tensione ritmica di “TYAF “, “Cuffed” e “JP” che ricordano le avventure sonore degli Animal Collective e dei Woods. Nick Hakim insomma fa per soul e R’n’B quello che Daughn Gibson ha fatto per il country: li reinventa, portandoli in territori alieni a cui teoricamente non dovrebbero appartenere ma dove in realtà si trovano benissimo.