La terza, grande prova di maturità , per Stuart Howard arriva dopo un periodo di accurata e piuttosto lunga ricerca, per realizzare in studio un album che sa di “compromesso”, tra il suo passato e il suo futuro. Lapalux, tra i volti noti della Brainfeeder di Flying Lotus, ha spesso, durante gli anni, dato modo di far valere una creatività istintiva, sopra le righe, che fondeva in un’elettronica equilibrista diversi lati dei suoi antipodi più terreni. Un po’ come il maestro FlyLo, le contaminazioni rap, jazz e hip hop sono state sul filo di quelle sperimentazioni dal piglio pungente, caotico (ma concreto, quindi in senso buono) che l’artista londinese ha portato avanti nei suoi precedenti album ed EP.
Con “Ruinism”, la faccenda sembra farsi più complicata, conseguenza, sotto certi aspetti, di una tangibile volontà di scoprire nuovi lidi. L’album scioglie subito in apertura i nodi relativi alle aspettative sul versante stilistico: un quartetto, da “Reverence” a “Rotterd Arp”, che sembra palesare, con più coerenza e raziocinio rispetto al passato, una struttura musicale a metà tra il sinfonico e la sperimentale, con picchi di accelerazionismo e industrial. Nei featuring, le voci di Louisahhh e Gabi sono quasi nenie, canti appena percettibili utilizzati come main sample, ma la percezione di una determinante rilevanza dell’impianto sonoro è abbastanza netta. Non manca di osare, quindi, su picchi nettamente più possenti che si incastrano in questa fase, come in “Pretty Passion”, ma la parte centrale del disco, che fa invece l’operazione contraria, rimettendo ordine, sembra suonare effettivamente come livellatrice di un lavoro molto pensato.
“4EVA” (feat. Tali) e “Flickering” (ancora con l’islandese JDFR, già in “Falling Down”) sono le più riconoscibili manciate del credo lapaluxiano, quello di “Nostalchic” e “Lustmore”, che non mancano però di elementi inediti e idee seminate qua e là nello sviluppo. “Ruinism” prende la sua ultima virata sul finale, concludendo con “Tessellate” un trittico, cominciato con “Running To Evaporate”, che evade dalla dolcezza mista a follia controllata del restante dei brani, seppur sintetizzando idee non degne di nota.
Tra molti alti e qualche basso, il terzo disco di Lapalux fa il suo, incidendo progressivamente dopo più ascolti, perchè sicuramente non tra i più facili, neanche per i più fedeli dell’artista britannico, a primo acchito. Il suo linguaggio, però, trova sempre un quid giusto, che magnetizza, attrae, sia in un impianto da grande evento che in un piccolo club di periferia. Una delle caratteristiche certamente più importanti, per Howard, che resta per questo un producer a cui dare la giusta considerazione.