L’album minimale di Toro Y Moy è la nuova fatica di uno degli artisti più interessanti sulla scena internazionale, la sua evoluzione in “Boo Boo” punta direttamente alle radici, bagnate da un’acqua pura e limpida che riscopre essenzialità e puntualità . Proprio di questa sostanzialità che si ha bisogno nel mese di luglio, dove non c’è spazio per complesse sfumature eccessivamente barocche.
Il suo stile è semi-religioso: ascoltando questo disco mi si sono aperte nelle mani delle immagini delle opere di Corita Kent, suora eccentrica e artista, che nel corso degli anni si è affermata, prima di morire nell’ “’86, come una vera rivoluzionaria nella sua Chiesa, dal punto di vista artistico.
Chaz Orso fa proprio questo, parte da un movimento che ormai sta sfociando nell’eccesso e nella
ridondanza dei suoni e lui vuole farlo tornare alla sua purezza originaria. Il suo è un insieme di beat che si incastrano come delle corone di un rosario: è come vedere delle anziane che cantano in Chiesa, “Boo Boo” è una processione di contemporaneità .
“Boo Boo” è uno strumento semplice per capire l’attuale panorama musicale che appare rigoglioso, ricco di idee.
Dalla “Halo”, appena uscita con un nuovo lavoro, a questo disco tutto appare incredibilmente fresco, la sensazione nell’ascolto è la stessa provata davanti ad un mojito, che alla fine quando ti sale ti fa sudare fino a farti essere felice.
“Don’t Try” è uno dei pezzi che nascondono al meglio l’essenza religiosa e mistica di questo disco, e anche in Labyrinth c’è un profondo rispetto di queste atmosfere pacate e ben pensate.
Un poeta statunitense ha scritto: A poem should be palpable and mute/As a globed fruit, le canzoni di “Boo Boo” sono palpabili, ben riconoscibili e anche loro in un certo senso mute, rispettose. Toro Y Moy dall’alto della sua poliedricità tecnica ha tirato fuori un album impossibile da non ammirare, come un quadro di Caravaggio, è catalizzante, perfetto.