C’è chi si porta dietro calamite, biglietti di treni, fotografie, memorie di viaggio, chi invece parte e si perde per mai più tornare, c’è chi parte per ritrovare se stesso, c’è chi invece parte per cambiare le sorti del proprio destino. Forse il principale desiderio, che ha portato Lucy Rose alla decisione di concedersi un lungo viaggio in Sud America, era proprio quest’ultimo, il potere di internet ha fatto il resto. Dopo aver scoperto di aver guadagnato un largo pubblico in America Latina la Rose decide di chiedere hai fan di ospitarla in casa propria per un tour che l’avrebbe tenuta occupata due mesi alla riscoperta di questi luoghi. Testimonianza prima è senza dubbio “Something’s Changing”, con il documentario omonimo che con intimità rivela il processo evolutivo del viaggio, del cambiamento.
Registrato in soli 17 giorni a Brighton il disco è sicuramente l’opera più complessa della sua carriera , i suoni si fanno corposi, palpabili, incoronati dalla bellezza di un timbro dolce ma con la giusta dose di velata sensualità . Si va alla scoperta di nuove strutture melodiche, le canzoni sono spogliate di ogni ghirigoro ed acquistano una maturità fin ora mai raggiunta pur mantenendo lo stile folk-pop fresco che la contraddistingue.
Con Intro l’album si apre a suon di eleganza lasciando spazio alla riflessiva Is This Called Home che dipinge la crisi attuale degli immigrati, con la chitarra vellutata e i suoi ritmi andanti verso la conclusione, quasi sembra lenire l’orrore alla quale siamo ormai tristemente abituati. “Strangest Of Ways” è la consapevolezza che pur rimanendo nell confort-zone della linea folk d’autore lo sguardo può facilmente volgersi verso melodie più ricche e ritmate. “Floral Dresses” si avvale della collaborazione delle The Staves, il risultato è un fitto, dolce e malinconico tessuto armonico dove si ritaglia spazio una chitarra di grezza bellezza. Second Chance è ricco di sonorità che si affacciano all’r’n’b moderno pur esibendo una certa purezza orchestrale che fa da padrona nell’album. La prima e forse unica vera ballata folk dell’intera opera è senza dubbio la sincera Love Song un soffice racconto che rassicura anche i più disillusi.
“Soak it up” avvolge di mistero e trasporta verso paesaggi idilliaci l’ascoltatore, qui vediamo la seconda collaborazione del disco, quella con Elena Tonra, voce iconica dei Daughter. “Moirai” trasposizione di una storia popolare rappresenta il vero fulcro dell’album, brano di immensa bellezza orchestrale, denota come la Rose oltre ad essere in pieno stato di grazia, sia una delle artiste più complete della sua generazione. “No Good At All” vira verso sonorità Bluesy dal ritmo danzereccio ed accattivante. La vita cambia in un istante in “Find Myself”, una malinconica I Can’t Change It All chiude in un circolo completo di ottoni e maestosi archi l’ultima e senza dubbio migliore opera della carriera di Lucy Rose. Almeno fino ad ora, grandi cose all’orizzonte.