E se usassimo la parola “pop” per questo disco storcereste il naso? Non dovreste. Gli Enter Shikari non rinnegano il passato di sperimentatori, non si vendono al miglior offerente e alle classifiche in modo furbo e senz’anima, ma continuano a mescolare le loro carte in modo eterogeneo e colorato, spiazzando e coinvolgendo l’ascoltatore, che resta perennemente sulle montagne russe. Ma attenzione, per chi ancora volesse accostare le parole post-hardcore o metal alla band, beh, forse è venuto il momento di voltare pagina o, quantomeno, andare oltre, un po’ come Rou Reynolds e compari stanno facendo. Questa volta i ritornelli si fanno micidiali e a presa rapida come non mai, mentre il sound a tratti ci rimanda a un folle incrocio tra alcuni pulsioni alla Biffy Clyro e l’art-pop degli Everything Everything, persi in una sala giochi anni ’80 ricca di suoni elettronici incalzanti.
Il centro focale è proprio Reynolds, con le sue paure, le sue preoccupazioni e le sue riflessioni su quanto lo circonda, ovvero una realtà tutt’altro che positiva. Partire da sè stessi per un percorso catartico, per una visione diversa che lo aiutasse a cercare nuove chiavi di lettura della realtà e, perchè no, anche possibilità per cambiare qualcosa, perchè se ognuno facesse il suo piccolo pezzo, davver ci sarebbe il cambiamento, personale e politico. Facile a dirsi, difficile a farsi quando l’insonnia e gli attacchi di panico fanno parte della tua quotidianità . Ecco che forse il cambio di rotta nelle sonorità parte anche da questa necessità di Reynolds e non ci sentiamo affatto di colpevolizzare la band, che, come ho detto all’inizio, non perde affatto la bussola, ma si getta a capofitto in suoni esplosivi e coinvolgenti (“Take My Country Back”) così come in una ballata, inaspettata e da pelle d’oca (“Airfield”). In mezzo a tutto questo ci troviamo un dinamismo e una vitalità che non accennano a calare dalll’inizio alla fine, così ecco i coretti travolgenti di “The Sights”, il giro in giostra ipermelodico di “Undercover Agents”, l’Iggy Pop in versione electro-rock alla Soft Cell di “The Revolt of the Atoms” e gli archi barocchi di “An Ode To Lost Jigsaw Pieces”.
Stati d’animo che cambiano, mutano e danno i brividi per la capacità di coinvolgimento totale. Ecco la vera forza del disco quindi, l’empatia che generano i testi di Reynolds che balla sulle rovine del suo e del nostro mondo, prendendoci per mano e sorprendendoci con un gusto “pop”, appunto, che ci porta a sentirti completamente partecipi del tutto anche a livello musicale. Uno sforzo per la band ma anche per noi, che accettiamo con piacere. Complimenti Enter Shikari!