Se dovessi descrivere e riassumere “A Black Mile to the Surface” con una sola parola, di sicuro la più appropriata sarebbe”…intenso. Eh si, perchè siamo di fronte a un disco davvero importante, dal potenziale altissimo che sa regalare tanto. Ma attenzione, non è un album facile, questa è un’opera che bisogna lasciar decantare come il migliore dei vini, e che come tale bisogna saper sorseggiare un pochino alla volta e fare in modo che si depositi lì in un angolo. Occhio che una volta che gli si è fatto spazio, non ha alcuna intenzione di andar via, perchè è uno di quei dischi destinati a rimanere impresso per molto tempo, proprio come una bella fotografia o un quadro particolarmente significativo. Poi non venitemi a dire che non vi avevo avvertito.
Personalmente chi vi scrive ha sempre avuto un rapporto strano con i Manchester Orchestra, il loro album di maggior successo, “Mean everything to Nothing”, risale al 2009 ed è quello che li ha portati alla ribalta. Per me è stato un album folgorante come un amore a prima vista tanto era coinvolgente ed emozionante, grazie soprattutto all’energica voce e all’ottimo songwriting del loro frontman. Ma come tutte le cose più belle che sono destinate a durare poco, i Manchester si sono dissipati, quasi liquefatti nel nulla nel vano tentativo di replicare quel successo e di rimanere allo stesso livello, con quelle che si sono poi rivelate secondo me delle mere imitazioni dell’ormai lontano 2009.
In molti hanno detto che “A Black Mile to the Surface” è un album dall’enorme potenziale inespresso, nel senso che si sarebbe potuto dare molto di più. Per me no. Sinceramente credo che questo sia l’album non soltanto del grande ritorno ma della presa di coscienza e della consapevolezza. Questo è l’album della evoluzione perchè riesce finalmente a distinguersi, affrancandolo e superandolo, dal loro capolavoro del 2009, senza però sconvolgere il loro modo di fare musica. Li ritroviamo anche qui, sono sempre loro, ma sono cresciuti e hanno lasciato il nido per fare le cose in grande. “A Black Mile” è un lavoro che pesa molto, la musica che esprime ha un livello qualitativo eccelso in un crescendo di arrangiamenti estremamente curati e testi meravigliosi.
“The Maze” è il brano che apre le danze a un ingresso soave e lievemente ritmato con cori virtuosi che ci lasciano intravedere un labirinto di emozioni, the maze appunto. Si prosegue con “The Gold”, pezzo coinvolgente e dinamico tra percussioni e batterie brucianti, chitarre infuocate che però non disdegnano piano e tastiere. “The Moth” è come uno schiaffo dato per riportarci alla realtà , quasi a volerci far dimenticare l’intro d’atmosfera e ricordarci che i Manchester ci sono e fanno sul serio.
Il tutto prosegue con un mood nostalgico ma allo stesso tempo energico e potente, molto orecchiabile ma graffiante e concreto. Per poi approdare a “The Parts”, uno dei punti più alti dell’intero album, in cui si recita “i want every single part of you“: una ballata struggente che rappresenta il fulcro a mio avviso del songwriting e del processo creativo di questo disco.
Voglio conoscere ogni parte di te, fatta di quei piccoli gesti quotidiani che completano la mia giornata e che riempiono la mia vita, senza i quali manca letteralmente il respiro. Ecco, direi che è proprio questo il tema ricorrente, è questo di cui scrive il frontman Andy Hull, l’amore che non c’è più, un amore ormai lontano, che non è più la risposta alle proprie domande anche se è l’unica risposta che si vuole, l’unica ancora plausibile. Un amore insomma impossibile e a tratti intollerabile, che divora e consuma, ma che rappresenta allo stesso tempo l’unica forma di amore che realmente si desidera e conosce.
Testi e arrangiamenti di altissimo calibro, sfumature che sanno emozionare fino alle lacrime. Sono questi gli ingredienti di un disco che va ascoltato e assaporato poco per volta per lasciarsi poi trasportare in fiume di sensazioni e colori.