Anche nelle migliori famiglie come IFB ci sono pareri discordanti su certi dischi. Di solito ci fidiamo e accettiamo il verdetto del nostro recensore, ma per certe uscite molto importanti e in grado e di dividere la critica, abbiamo pensato a un diritto di replica, una seconda recensione che potrebbe cambiare le carte in tavola rispetto alla precedente. Voi scegliere quella che preferite…
VOTO OTHER SIDE: 5
Leggi la prima recensione di “As You Were” di Liam Gallagher
Sono mesi che Liam, con la complicità della stampa britannica (NME in primis, ormai diventato il suo ufficio stampa), pontifica a destra e sinistra contro il fratello o contro il tracollo generale della musica. Ecco, forse sarebbe stato meglio se avesse parlato meno e si fosse dedicato con più amore alla nascita e alla crescita di questo suo primo album solista che, a conti fatti, delude le aspettative.
Già il fatto che Liam stesso, più o meno velatamente, abbia ammesso in questi mesi che precedevano l’uscita di non fidarsi della sua scrittura, tanto da affidarsi a un team di scrittori/produttori di grido, la dice lunga sull’autostima “musicale” del nostro: davanti ai microfoni dei giornalisti o su twitter è spavaldo e senza paura, ma quando c’è da mettere giù un pezzo, possibilmente bello (come ne scriveva il fratello tanti anni fa), ecco che diventa un tenero gattino impaurito e se ne esce, spesso, con banalità non particolarmente incisive. In fase di scrittura Liam (o chi scrive con e per lui) ha cercato di navigare in acque tranquille, senza inserire cose fuori dal suo classico mondo sonoro, con frangenti capaci di ricordare il tanto “odiato” fratello (non è la scrittura “del” miglior Noel, ma è una scrittura “alla” Noel, con quasi tutti gli ingredienti e i pezzi del puzzle al posto dove te li aspetteresti) e persino qualche spunto cantautore. Cerca di camminare con le sue gambe il buon Liam, solo che manca drammaticamente la personalità , che qui latita, dispersa fra troppe penne e un sound laccato, spesso ingessato e incapace di far capire se vuol essere pop o (soft) rock. Alla fine il vero problema sta li. Ci si attendeva un disco rock, vecchio stampo, bruciante, sanguigno (anche alla luce di quanto promesso), ma purtroppo di questo tipo di rock non c’è traccia e sicuramente grossa responsabilità va a una produzione inefficace di far fare il salto di qualità : si parla sempre di basso, chitarra, batteria e voce, ci mancherebbe altro, ma in questo contesto, con Liam che canta, beh, l’impianto sonoro doveva essere sfruttato molto meglio, senza adagiarsi su un brutto andazzo radiofonico. Era stato Liam stesso a dire la frase: “Ho messo un mucchio di chitarre sul mio disco, ma il rock è sempre stato nelle mie corde“. Ecco, forse aveva sentito una versione demo dell’album, perchè purtroppo di tutto sto mucchio di chitarre e di tutto questo rock noi ne percepiamo troppo poco e ripeto, la colpa non va data tanto a Liam (che anzi ci ha messo la faccia e il nome) ma a quei cani che hanno prodotto l’album.
Tornando alle canzoni, più che ai suoni, certo, anche qui in verità avremmo qualcosa di dire. Non ci sono grossi sussulti melodici e i ritornelli (seppur qualcuno anche a presa rapida) paiono fin troppo da manuale, con i soliti anni ’90 che guardano ai ’60: non ci saremmo aspettati molto di diverso da e per Liam, solo che in realtà a mancare qui è proprio lui. Mi spiego. In un disco che ci pare fin da subito troppo curato e ben pettinato, ecco che sarebbe dovuto essere Liam a cambiare marcia, a dare qualcosa in più di sostanziale, tirando fuori grinta e carisma (che ha, poco da dire!) per alzare il livello di alcune melodie un po’ anonime, invece anche lui si adatta al canovaccio e sembra, in alcuni frangenti, essere un po’ forzato, non pienamente nel pezzo. Liam predica rock e, invece, si ritrova nella melassa (inspiegabile un brano di nessun conto come “Chinatown”): timbro inconfondibile certo, ma che non basta stavolta a salvare certe strofe dal naufragio. Il tutto insomma fatica ad emergere come pienamente apprezzabile o addirittura memorabile, sia che prevalga la grinta di “Wall Of Glass” (l’armonica dà sicuramente quel tocco di rock da strada, peccato che i corettoni sotto facciano invece pensare a una chiesa e al salotto di casa tirato a lucido) o di “I Get By” (in cui finalmente le chitarre mordono le cavaglie dell’ascoltatore), sia che arrivino le immancabili ballate come “For What It’s Worth”, in cui tutto l’impianto musicale grida Oasis/Beatles, sia che a prevalere siano i mid-tempo (“I’Ve All I Need”, perfettina e pulitina è proprio esempio di un sound che non vorremo mai sentire), francamente un po’ troppi. Attenzione, faticare non vuol dire “ci sono solo brutte canzoni“, anzi, qualcosa di piacevole c’è (penso a “Bold” o a “Greedy Soul” con un piglio vocale e strumentale all’altezza, sebbene i coretti sotto non riesca a sopportarli) ma sono attimi che si perdono in un tutto che ci appare incolore.
Riuscire a farci rimpiangere i Beady Eye sembrava impossibile, Liam riesce, a tratti, in questa impresa. Ne nasce un disco destinato a breve al cestone del supermercato sotto casa, venduto a prezzi stracciati, ed è un peccato, perchè Liam non lo merita. Va bene il pop/rock senza pretese, ma qui con tutte le dichiarazioni di guerra del nostro, beh, almeno un po’ di pretese ce le aspettavamo. La calma piatta di troppi brani invece ci smonta completamente. Il bello è che poi Noel se ne esce con un nuovo singolo talmente brutto che fa pure passare ogni canzone di questo disco accettabile, se paragonata a quella: poco da fare, si vogliono ancora bene dai se arrivano a farsi tali favori e, nonostante tutto, anche noi continuamo a volerti bene Liam.