Lo strano concetto di pace dei Metz passa attraverso gli undici brani grezzi e nervosi di questo nuovo album, il terzo dopo l’esordio omonimo del 2012 e “II” del 2015. Per l’occasione il trio canadese ha collaborato con il leggendario produttore Steve Albini che – oltre ad aver fatto parte di alcune seminali band noise (Big Black, Shellac) – ha contribuito in maniera determinante all’evoluzione sonora di quasi tutti i generi del calderone alternative negli ultimi trent’anni. Senza mai scendere a compromessi con l’industria musicale o le tendenze dell’ultima ora, Albini ha lasciato il suo personalissimo segno in pietre miliari come “In Utero” dei Nirvana, “Rid of Me” di PJ Harvey e “Surfer Rosa” dei Pixies, solo per citare tre dei suoi lavori più importanti.
Era solo questione di tempo perchè due universi affini come quelli di Albini e Metz si incontrassero; eppure, “Strange Peace” è forse il disco meno tradizionalmente “albiniano” per i tre musicisti dell’Ontario. L’infrangibile muro di chitarra, basso e batteria costruito in quasi dieci anni di attività è più solido che mai, rafforzato dai suoni ruvidi e secchi portati in dote dall’esperto produttore statunitense; nonostante questo, però, tra i “mattoni” noise cominciano a intravedersi le prime crepe melodiche. Un approccio leggermente più pop che trova spazio nelle atmosfere sixties di “Cellophane”, nei mantra ossessivi e garage di “Caterpillar” e “Lost in the Blank City” e nel grunge di scuola Sub Pop dell’esplosiva “Common Trash”. Il resto è una colata lavica di noise e hardcore, con la chitarra al fulmicotone di Alex Edkins e la batteria frenetica di Hayden Menzies a contendersi il ruolo da protagonista. Rabbia e caos regnano incontrastati nel beat maniacale di “Mess of Wires” e “Mr. Plague”, nei richiami industrial di “Drained Lake” e “Sink” (l’episodio più sperimentale dell’album) e nel micidiale trittico finale costituito da “Escalator Teeth”, “Dig a Hole” e “Raw Materials”.
“Strange Peace” è l’ennesima conferma da parte dei Metz, ormai veri e propri padroni della scena noise nordamericana. Il fatto che in queste undici nuove canzoni sia possibile individuare sfumature e spunti diversi rispetto ai due dischi precedenti non è sinonimo di incoerenza; semmai, è segno di una non scontata maturità , in grado di rivelare una natura sin qui nascosta di questo interessantissimo trio canadese.
Photo Credit: Nicholas Sayers