Altro tassello della ormai consolidata scuola nordica questo “III” dei Makthaverskan, che hanno perso per strada il chitarrista Guggi Data ma non hanno certo smarrito furore sonico e grazia estetica, data sopratutto dalla voce pazzesca di Maja Milner, che si arrampica fino al cielo nei suoi acuti. Alla fine sempre li si va a parare con questi ragazzi di Göteborg: i rimandi doverosi al post-punk degli anni ’80, sferragliate quasi shoegaze, il santino dei Cure custodito gelosamente sopra il comodino, atmosfere metà strada tra il gotico e il dark e poi lei, Maja, con quella voce da sirena incantatrice pronta a graffiare che arriva a dare la melodia e il piglio tra il romantico, il disperato andante e lo struggente a ogni brano.
I suoi compagni di viaggio macinano solidi e quadrati. Non ci sono particolari variazioni su un canovaccio già perfettamente impostato e che non riserva quindi grosse sorprese. I pezzi vanno dritti al punto, non si perdono certo in particolari andamenti altalenanti, le melodie a tratti difettano un po’ e scivolano nell’ordinario, ma quando hai una cantante così, per giunta in stato di grazia, beh, puoi permetterti anche qualche calo di tono che, tanto, ci pensa lei. Citiamo con molto piacere “Eden” per quel lavoro alla batteria che non lascia scampo, mentre intorno a noi si costruisce un castello di pura brillantezza pop (e parlare di brillantezza con loro è quasi un eufemismo, lo so!), la devastante “Witness” che pare “Paint It Black” degli Stones rifatta però dalle Savages e poi l’incedere di “Front” che mostra più anime nella sua costruzione.
Anche questa volta il la sufficienza pienissima è più che meritata e doverosa.