Arriva alla terza fatidica prova anche il percorso di Lorenzo Urciullo aka Colapesce, cantautore siciliano molto apprezzato e considerato, a torto o ragione, uno dei migliori della nuova scena indie italiana. Il suo disco pubblicato in questi giorni, “Infedele”, è una raccolta molto artistica, composto da 8 tracce, con la bellissima copertina che ritrae lui in prima comunione.
Sceglie la via del fare le cose fatte bene e chiama con se oltre al fidato Mario Conte (già presente sul disco vecchio “Egomostro”) anche Jacopo Incani (il pluripremiato Isonouncane di “Die”). Ne viene fuori un album super arrangiato, molto pensato, ragionato, a tratti difficile, meno ispirato, a mio avviso, del precendete, parlo proprio della scrittua, ma nel complesso un bel disco.
Anticipato da due singoli “radiofonici” apripista “Io attraverso”, (rilasciato via Spotify un mesetto fa) e soprattutto “Totale”, brano scritto a più mani, venuto fuori da quei meeting che fanno le major per far scrivere gli autori per poi piazzare le canzoni a qualche cariatide o soubrette post talent (infatti il brano, a detta di Colapesce, doveva finire sul nuovo di Carboni e non me ne voglia il buon Luca, ma se deve rubacchiare in continuazione brani ai giovani per andare avanti, lui che è stato un grandissimo cantautore, allora ben venga la “pensionity”).
Nella fattispecie “Totale” sembra proprio un pezzo non di Colapesce, un po’ come fosse il suo nuovo biglietto da visita per dire: se ci sono da fare i soldi e riempire l’Alcatraz o l’Atlantico, beh, ci voglio essere anch’io e la cosa ci sta, ci mancherebbe. Però è un vorrei ma non posso, perchè cantata da lui, “Totale” è una buona pop song con il richiestissimo ritornello mainstream (a proposito video clamorosamente bello), ma non credo possa avere le caratteristiche per diventare una hit da network, spero di sbagliarmi, sia chiaro.
Per il resto il disco mi ha lasciato un po’ perplesso quando è venuta fuori molto (troppo?) la mano di Incani, che reputo un musicista fuori categoria, ma un “non produttore”. A tratti sembra di sentire “Die” con la voce di Colapesce e boh, non che sia una brutta cosa, affatto, semplicemente mi viene da dire: perchè?
Potrei citare Nigel Godrich che nei suoi anni d’oro appunto produceva molti artisti diversi tra loro, dai Radiohead a Beck per arrivare ai Travis, ma di fatto non sentivi la sua mano, se non nella capacità di creare un suono personale, dai, sto citando un altro campionato comunque.
In conclusione non vorrei passare per critichino a tutti i costi, perchè comunque Colapesce porta a casa un buon disco, sa di essere bravo e va avanti per la sua strada, forse non diventerà mai il nuovo Calcutta, ma forse non è nemmeno necessario che lo diventi.
Produce 42 Records, sempre sul pezzo.