E’ un perfetto campionario di quello che potremmo definire pop psichedelico quello che ci offre il buon Joel Stein (già chitarrista degli Howling Bells), sotto il nome di Glassmaps. La varietà e la versatilità della proposta mi porta ad avvicinare il disco a quanto fatto in precedenza da gente come i Boo Radlyes, abilissimi a prendere influenze più che chiare e lampanti per poi plasmarle con personalità a loro piacimento. Ecco, forse in questo caso Joel resta ben più fedele ai modelli di partenza, ma non per questo il disco avanza a fatica, anzi, visto anche il basso minutaggio dei brani e la buona ricerca melodica, diciamo pure che tutto fila piuttosto bene.
Dal vistoso richiamo a Bowie della title track, al fantasma dei Beatles più psichedelici e sperimentatori che spesso fa capolino, passando per visioni già ben note ai fan di un gruppo come i Temples, il nostro si muove per lo più morbido e compassato (forse solo in “In The Shadows” prende coraggio e si butta in un trip bello visionario e sostenuto), con un brano come “Inner Place” che assolutamente potrebbe essere preso ad esempio perfetto di quanto appena detto, vista la sua capacità di sedare e abbassare i toni. In realtà non mancano nemmeno piacevoli escursioni in uno stomp-blues che profuma tanto ancora di Bowie quanto di Gallagher (“Summer Rain”), così come in un folk alla Syd Barret (“Golden Dayze”).
In conclusione, un piacevole tuffo in un sound ricco di riverberi anni ’60 e ’70 quello di Joel, che riesce nel suo intento di riportare indietro le nostre lancette del tempo musicale in modo tutt’altro che sgarbato o fracassone.