L’uscita dell’interessante album “La mia generazione” di Mauro Ermanno Giovanardi (alias Giò dei La Crus), volto a omaggiare la migliore espressione della musica “alternativa” italiana sviluppatasi negli anni ’90, sospesa tra rock d’autore e le varie declinazioni possibili dell’indie, ha dato lo spunto per mettere in fila quelle che sono per me le 10 canzoni migliori di quel periodo, esprimendo la mia preferenza di un brano per ogni artista individuato. Visto l’abbondante materiale e il mio gusto personale molto affine a questo decennio, ho deciso di stilare due graduatorie, una comprendente i cosiddetti “big” del genere, forti di canzoni entrate nell’immaginario, e un’altra dedicata invece ad artisti che purtroppo hanno avuto meno risalto ma che all’epoca seppero comunque guadagnarsi seguito e ammirazione (non solo dal sottoscritto!)
Buona lettura quindi con le 10 migliori hit indie rock italiane degli anni “’90
Bonus Track: FRANKIE HI-NRG MC – Quelli Che Ben Pensano
1998, dal disco “La Morte dei Miracoli”
Assolutamente improprio definirla appartenente al filone “indie”, però per quanto su queste pagine non si tratti specificatamente l’hip hop, è indubbio che nel decennio ’90 il rap avesse “assunto dimensioni oltre la curiosità “, coinvolgendo gente di tutte le età , parafrasando il Jovanotti di “Lorenzo “’92”. A parte citazioni azzardate, è vero però asserire che ci fu un versante davvero interessante, molto vario e di volta in volta impegnato anche politicamente e socialmente, tra il genere posse e non solo.
Svettava su tutti questo singolo di Frankie Hi-Nrg Mc, di un’attualità disarmante e uno dei manifesti di un’intera epoca.
10. Prozac+ – Acida
1998, dal disco “Acidoacida”
Il trio di Pordenone si era già fatto ben valere con il precedente album “Testa Plastica” e l’irresistibile brano “Pastiglie” in esso contenuto, ma quando uscì questa filastrocca pop-punk niente fu come prima per i Prozac + di GianMaria Accusani, Eva Poles e Elisabetta Imelio. “Acida” irruppe in classifica, monopolizzando i media, le tv e le radio, ottenendo copertine e grandi clamori. Storie adolescenziali narrate in modo anche dissacrante e musiche in grado di appiccicarsi in testa. Il fenomeno però implose già con il successivo album, in pratica una sua copia ma senza singoli particolarmente trainanti.
9. Timoria – Senza Vento
1993, dal disco “Viaggio Senza Vento”
Una delle coppie artistiche in teoria meglio assortite della storia della musica italiana, quella tra il vocalist Francesco Renga e il chitarrista e autore Omar Pedrini. I Timoria nel periodo del loro apice seppero mostrare tante facce del rock tricolore, mostrando come potesse essere credibile, al di là dei Vasco e dei Ligabue. Hard Rock, psichedelia, grunge ma anche tanta poesia, come in questa splendida “Senza Vento”, innodica e intensa.
8. Subsonica – Colpo Di Pistola
1999, dal disco “Microchip Emozionale”
Il quintetto piemontese, capitanato dall’ex Africa Unite Max Casacci, sin dal primo album mostrò di saper indicare una via nuova alla musica italiana, rivelandosi come assolutamente moderna e contaminata. Quando all’albore del nuovo millennio ebbero l’occasione di salire sul palco del Festival di Sanremo, ambito in cui spesso e volentieri gli alfieri dell’indie ricavavano magre figure, i Subsonica con “Tutti i miei sbagli” convinsero tutti, dagli scettici a quelli che già li amavano. Senza snaturarsi, da qui in poi divennero veri big della musica italiana tout court. Nella scena alternative però avevano già fatto un primo grande salto con la scoppiettante e convincente “Colpo di Pistola”.
7. Bluvertigo – Altre Forme Di Vita
1997, dal disco “Metallo Non Metallo”
Bizzarri, vistosi, colorati e tremendamente anni ’80, ma di quelli buoni, tanto cari agli eclettici e geniali Morgan, Andy e compagnia. Eredi designati del miglior Battiato (ma esiste forse un “peggior Battiato“?), i Bluvertigo con canzoni come “Altre forme di vita” rilanciarono in un’epoca di chitarre rumorose il synth pop venato di glam. Citazione di merito per il surreale testo: “Se non esistessero i fiori, riusciresti a immaginarli?.. in altre zone di questo Universo/E’ facile da realizzare/Esiste tutto ciò che io ancora non riesco a immaginare/E’ praticamente ovvio che esistano altre forme di vita” .
6. Carmen Consoli – Confusa E Felice
1997, dal disco “Confusa E Felice”
Mi era piaciuta già tra le Nuove Proposte Sanremesi, quando timida e dolce intonò “Quello che sento”, in cui fu sin troppo facile risentirci echi della folksinger americana Tracy Chapman, ma quando si ripresentò l’anno successivo, ambendo alla promozione fra i big si era già trasformata nella Pj nostrana, rocker grintosa e magnetica. Bando agli inutili parallelismi, con la paradigmatica “Confusa e Felice” Carmen Consoli dimostrò chiaramente un talento fuori dal comune e una unicità rara da trovarsi nel panorama musicale italiano. Non assomiglia proprio a nessun altra, d’ora in avanti sarà per tutti semplicemente “La Cantantessa”. PS: ovviamente questo stupendo brano, con il suo ansimare e il ritornello strozzato, venne bocciato dalla kermesse sanremese, nell’edizione presentata da Mike Bongiorno!
5. Gianluca Grignani – La Fabbrica di Plastica
1996, dal disco “La Fabbrica di Plastica”
L’idolo di migliaia di ragazzine, a detta di Vasco “troppo bello” per assomigliargli davvero e diventarne suo erede, aveva un chè di masochistico sin da giovane, se è vero che alla prova del secondo album, confezionò un album rock scarno, sincero, urticante e dalla personalità debordante. Un po’ come quella del suo autore, la cui urgenza creativa gli fece compiere magari dei passi azzardati dal punto di vista commerciale ma da gigante dal punto di vista artistico, vedi anche i successivi “Campi di Popcorn” e “Sdraiato su una nuvola”, antitetici ma entrambi viscerali. La “Fabbrica di Plastica” è quella in cui Gianluca Grignani dice di sè, nella splendida intro “Ho provato ad essere come tu mi vuoi/tanto che sai in fondo cambierei/ma son fatto troppo, troppo a modo mio/prova ad esser tu quel che non sei”.
4. Verdena – Valvonauta
1999, dal disco “Verdena”
I giovanissimi Verdena, dalla provincia di Bergamo, furono impropriamente tacciati di essere i “Nirvana Italiani”, d’altronde non era consuetudine trovare dei ragazzini così giovani e così “convinti” nella loro attitudine rock. Ma la loro in realtà era una visione musicale ad ampio raggio in cui far confluire le tante influenze, suggestioni e idee. Diventeranno dei giganti, in grado di stupire ad ogni uscita discografica ma l’irruenza e l’immediatezza di una “Valvonauta” non verrà più replicata.
3. Marlene Kuntz – Festa Mesta
1994, dal disco “Catartica”
I Marlene Kuntz di Cristiano Godano furono il gruppo rock italiano che più di tutti seppe colpire il mio immaginario di adolescente o poco più (avevo 17 anni quando uscì l’epocale “Catartica”), a livello di testi soprattutto, ma non solo. Così oscuri, magnetici, obliqui, affascinanti. Canzoni che molto assomigliavano a poesie ma anche tirate apocalittiche e frasi “vomitate” in pasto all’ascoltatore. Come in “Festa Mesta”, dove era davvero impossibile non lasciarsi trascinare. Ed è così ancora oggi, anche se non partecipo più al pogo selvaggio!
2. Afterhours – Male Di Miele
1997, dal disco “Hai paura del buio?”
Meglio loro o i già citati Marlene Kuntz? Una risposta che non sarà mai unanime ma quante volte tra “quelli della mia generazione” abbiamo disquisito della qualità degli uni e degli altri? I milanesi Afterhours avevano dalla loro il carisma dirompente di Manuel Agnelli, indicato già dai coevi come un “guru”, uno a cui guardare con rispetto e dal quale imparare. E uno spettro sonoro che andava dal furore punk alle derive heavy e psichedeliche (un po’ come i concittadini Ritmo Tribale del redivivo Edda), dalla canzone d’autore fino a flirtare col pop. “Male di miele”, citando Federico Guglielmi, uno dei più influenti critici musicali del nostro tempo, la considerava la “Smells Like Teen Spirit” italiana e secondo mio modesto parere, non andò molto lontano dal vero.
1. C.S.I. – Forma e Sostanza
1997, dal disco “Tabula Rasa Elettrificata”
A issarsi in cima alla classifica sono però i C.S.I., proprio come fecero 20 anni esatti fa, sancendo di fatto con quel clamoroso exploit l’affermazione definitiva di un “genere”: il rock alternativo italiano. Durò una settimana ma quella botta di visibilità e popolarità sdoganò tutto quel movimento, magari frastagliato e disomogeneo a livello di suoni e storie, ma assolutamente affine al sentire di un’intera generazione. Ferretti e Zamboni, Maroccolo e Canali, Magnelli e Di Marco (e in questo disco l’ex ClanDestino Gigi Cavalli Cocchi) con questa gloriosa sigla che stava per Consorzio Suonatori Indipendenti, emanazione diretta dei mitici CCCP–Fedeli Alla Linea, percorsero una strada differente ma altrettanto entusiasmante. Il mantra di “Forma e Sostanza” è di quelli che si incidono nella mente e nel cuore: “Comodo ma come dire poca soddisfazione”…” a sfociare nel deflagrante (e indimenticabile) ritornello “Voglio ciò che mi spetta/lo voglio perchè è mio, m’aspetta”