Negli anni Novanta Adrian Nicholas Matthews Thaws, meglio noto con il nome d’arte Tricky,contribuì in maniera determinante a rendere popolare in tutto il mondo un genere musicale tanto variegato quanto raffinato come il trip hop. Un mix di stili e sonorità dalle tinte notturne nato nei club di Bristol e salito agli onori della cronaca grazie ai capolavori a firma Portishead e Massive Attack, le cui strade si sono incrociate con quella di Tricky in più di qualche occasione. In veste di autore, produttore o semplice interprete, l’artista britannico è quasi sempre riuscito a fare la differenza, forte dell’idea che la musica non sia altro che un laboratorio aperto a ogni tipo di collaborazione o idea diversa. Una concezione democratica di creatività che continua a essere valida ancora oggi con l’uscita del tredicesimo album in studio di Tricky, intitolato “Ununiform”.
Come al solito, il lavoro pullula di ospiti più o meno illustri, cui spesso e volentieri il nostro cede il microfono. Tra storiche collaboratrici come Francesca Belmonte e Martina Topley-Bird e qualche sorpresa (vedi Asia Argento), Tricky conferma per l’ennesima volta il suo grande fascino nei confronti delle voci femminili. Sono proprio le donne a cantare alcuni degli episodi più interessanti dell’album, spaziando tra il synth pop ballabile di “Armor” (con Terra Lopez), il downtempo scuola Portishead di “Running Wild” (con Mina Rose) e il blues elettronico di “New Stole”, cantato in duetto con Francesca Belmonte. In altri punti l’album convince solo a tratti: le idee latitano e, quando ci sono, vengono schiacciate da un’attenzione ai dettagli che poco ha a che fare con il trip hop oscuro e tormentato alla base dei migliori lavori firmati da Tricky. Scordatevi il melting pot di sonorità urbane di “Maxinquaye” e i beat sporchi e suadenti di “Angels with Dirty Faces”: in “Ununiform” il quasi cinquantenne producer di Bristol, da qualche anno trasferitosi a Berlino, si scopre uomo di mezz’età felice e realizzato, ma davvero poco ispirato. In questo senso è emblematica la decisione di includere nell’album una cover abbastanza insipida di “Doll Parts” (qui per qualche motivo intitolata semplicemente “Doll”) delle Hole, tuttavia interpretata in maniera impeccabile da Avalon Lurks. Le cose vanno per il verso giusto solo quando Tricky salta sulla macchina del tempo e torna a fare ciò che gli riesce meglio, ovvero del puro e sano trip hop di matrice anni Novanta: poco importa se interpretato dalla splendida voce della musa ed ex compagna Martina Topley-Bird (“When We Die”) o scandito dalle sue inconfondibili rime ruvide e profonde (“Obia Intro”, “The Only Way”).
“Ununiform” strappa senza tanti problemi una meritata sufficienza, ma fa davvero molto poco per farsi ricordare dopo svariati ascolti. Questo Tricky maturo e finalmente sceso a patti con il proprio difficile passato sarà anche un musicista più raffinato e completo di una volta, ma non graffia come una ventina d’anni fa.
Credit Press: Sebastian Pielles