Lasciar passare il 2017 su Indie For Bunnies senza mai nominare il disco dei 1476 sarebbe stato un sacrilegio. Il duo del Massachusetts infatti ha realizzato uno di quei dischi che corrono il rischio di pasare inosservati perchè frettolosamente inquadrati in un’ottica “metal”, quando invece l’album è uno scrigno di segreti e di suoni canganti. Sulle pagine di Rockerilla ho scritto una breve recensione del quarto disco dei 1476 e mi sembrava doveroso riproporlo anche ai lettori di Indie For Bunnies, nella speranza che, se ancora non conoscessero il duo di Salem, beh, questa mia recensione avrebbe potuto favorire una loro scoperta.
L’importante è che l’ascoltatore sia pronto ad aprire la propria mente e che sappia abbattere i suoi confini musicali. L’etica stessa della band è chiara: “Per noi, fare un album è sempre legato al concetto di esplorare un’idea, un tema o un concetto, è un modo di crescere non solo come artisti ma anche come persone. Lavorando in questo modo ci costringiamo ad esplorare i nostri sentimenti in modo più profondo, imparando cose nuove e perfino opposte al nostro sentire, al fine di tenere tutto equilibrato“. Una funzione quindi catartica e quasi educativa della musica. L’album parla dell’importanza dell’inverno come stagione simbolo della resistenza, della forza e della pazienza e poi si sofferma sul concetto della solitudine della solitudine, mentre pulsioni di rabbia, speranza e malinconia s’intrecciano e si rincorrono. Robb Kavjian stesso mi diceva che dopo un periodo di forte isolamento e misantropia qualcosa era cambiato. “Penso che molte canzoni (nuove) mostrino il desiderio di combattere e superare questo momento terribile, ecco perchè vedo molta più speranza e positività , sebbene mi rendo conto di vivere in tempi caotici. Abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro: sono stato stupido e arrogante da pensare di essere superiore a quest’idea per la maggior parte della mia vita. Sto lavorando ogni giorno per estendere quello che senti nell’album anche nella mia vita personale. Ho la fortuna di conoscere e di avere persone straordinarie intorno a me ed è qualcosa a cui penso ogni giorno“.
Non abbiate paura ed entrare in questo mondo.
Robb Kavjian e Neil DeRosa ci avevano messo in guarda, annunciando che questo sarebbe stato il loro album più rabbioso e pesante. Non sbagliavano, certo, e quello che prima era definibile come dark-wave-rock ora si sposta a lambire anche territori metal, con, a tratti, chitarre davvero heavy (se non punk) e cadenze ritmiche sostenute, eppure la volontà di sperimentare e di non avere confini è inalterata. Ne nasce un lavoro meraviglioso, in cui convivono e s’intrecciano svariate e suggestive anime, a tal punto che l’ascoltatore, chiudendo gli occhi, si trova a percepire echi di Cult, Anathema, Sophia e Whipping Boy (per chi li ricorda) oltre a toccanti pulsioni neo folk.