Dopo il grande debutto Netflixtense del 2016 (da molti visto come il Patto Faustiano col colosso della web tv on demand), torna la serie creata da Charlie Brooker. Stesso format da sei episodi come quello della stagione precedente (malgrado il piatto più ricco, abbondano gli aficionados del “si stava meglio quando c’erano tre episodi per anno” delle prime due), il feeling è sempre più american-oriented rispetto agli inizi, ma non troppo, mentre i temi trattati restano globali, dalla realtà virtuale in un contesto gaming (CSS Callister), al sempreverde Big Brother di Orwelliana memoria applicato al cosiddetto helicopter parenting (Arkangel), e così via.
Questa stagione non ha i picchi estremi di un National Anthem (S01E01) nè di uno Shut Up and Dance (S03E03) però ha spunti interessanti e non è tutta da buttar via.
Procediamo con un’analisi SENZA SPOILERS (o quasi) dei singoli episodi.
————
U.S.S. Callister, regia di Toby Haynes
scritto da Charlie Brooker e William Bridges
Non è un paese per rosci. Inizi come capitano di una starship in una puntata tributo di Star Trek di un Big Bang Theory più maturo a cui hanno tolto le risate registrate, poi finisci sviluppatore in un’azienda dove pure l’intern che fa il caffè ti prende per il culo. Ma il punto è che sei uno Steve Wozniak in una Apple dedita al gaming multiplayer online, e anche se il prodotto che hai creato detta il mercato te rimani un geek sfigato malgrado stagiste di bell’aspetto vengano a complimentarsi che un codice grosso come il tuo non l’avevano mai visto. è il destino di Jesse Plemons, che è bravo a fare il buono in contesti sbagliati ovunque vada. Bravo trafficante in Breaking Bad, finaccia. Bravo marito in Fargo S02, finaccia. Altri films, finaccia. Però qua in quanto smanettone supremo ha la possibilità di fare un mod privato del videogioco in stile Westworld dove essere il grande capo di tutto e riscattare l’onore perduto, al semplice costo di un paio di campioni di dna (robetta inoffensiva, dal chewing gum alla tazza del caffè) per clonare digitalmente i vari NPC (non playable characters) dai colleghi, e darsi al mobbing estremo, che tanto nella realtà siamo persone educate e sottomesse (ricordiamoci che questo tizio è il fondatore di un’azienda milionaria, non l’ultimo dei developers sul libro paga) tanto quelle sono AI, cosa mai potrà succedere?
La puntata più lunga della stagione, quella che ha sollevato più critiche per lo stile che alterna comedy e sci-fi a momenti wtf dal punto di vista logico (a meno che tu non sia un ladro acrobata giocoliere scappato dal Circo Orfei, fare un’effrazione irl non è una pratica altrettanto semplice), ma anche dibattiti interessanti sul concetto di simulazione. Quanto potrebbe variare il nostro comportamento se avessimo completa libertà sul contesto e la posizione che ricopriamo? Quanto questo comportamento rivelerebbe chi siamo realmente se ne avessimo la possibilità ? Non mancano i film in materia, dal western-sci-fi del già citato Westworld a The Stanford Prison Experiment, basato su quello realmente condotto nel 1971 dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo nel noto campus.
In sintesi: episodio più ambizioso della stagione, da una parte fastidioso per i clichè che tira in ballo sulla questione “i nerd sono buoni o cattivi?“, però è anche positivo il fatto che sia quello che ha generato più discussioni online (e io la penso come Oscar Wilde sul tema). Cristin Milioti ha gli occhi così grossi che sembra la versione real life di Alita.
————
Arkangel, regia di Jodie Foster
scritto da Charlie Brooker
Regia vip per quest’episodio che pare una specie di prequel della tecnologia che possiamo vedere, a livello più avanzato, in White Christmas e altri episodi. Come ci insegna(va) il pur sempre saggio Louis C.K., il compito primario dei bambini in è tentare costantemente di morire, ed il tuo di impedirglielo. Quindi se sei una ansiosa madre single e il french bulldog umano che avevi portato al parco a giocare al primo momento di disattenzione se ne scappa a fare un giro sui binari del treno poco distanti che fai?
O lo castri e lo ficchi in appartamento ad ingrassare come faresti con un gatto, documentando la sua crescente obesità con video pucciosi, o ti rechi in una ditta con il nome di una band metalcore trash belga. Là collegano un chip al nervo ottico che ne permette un tracking GPS e la funzione live di Facebook, quella con cui puoi vedere cosa fanno in ferie i tuoi contatti. Non vuoi assistere alle vacanze a Montalto di Castro di Michele? Pigi la funzione oscura, così non vedi lui ma puoi vedere sua moglie. Le mie metafore hanno portato il discorso in un terreno un pò più ambiguo, perciò torniamo sulla retta via. Quella dei mass media. Se decidi di seguire solo il feed di Libero avrai una determinata visione politica, se segui di tutto non ne avrai affatto, perchè siamo un casino. Il punto è che là fuori, che sia il cane del vicino che abbaia quando gli passi davanti a casa ai dodicenni che guardano Pornhub sullo smartphone nel cortile della scuola, siamo costantemente esposti a contenuti sensibili. E vivere in una teca non aiuta, perchè gli anticorpi del giudizio si formano in base alle nostre esperienze. Questo vale sia per chi sotto la teca ci sta, e per chi la teca l’ha messa. Nel secondo caso questo comportamento ha un nome, e si chiama Sindrome di Mà¼nchhausen. E non porta a niente di buono, specie quando uno ne esce. O se ne accorge.
In sintesi: spunto molto interessante, si legge che già qualcosa del genere sia in atto, svolgimento angoscioso ma piatto, finale che sembra una pubblicità della Diesel. Tornerà entro un mese, farà pace con la madre anche se si parleranno pochissimo e si rimetterà con lui.
————
Crocodile, regia di John Hillcoat
scritto da Charlie Brooker
Architettura è una facoltà che provoca disastri. Fidatevi di me, ne conosco un sacco. Non tutti esercitano, alcuni vendono polizze assicurative, altri vendono il fumo, altri sono diventati serial killers. Quindi dovete capire che per quelli che ce la fanno il successo non è poca cosa. Specie in Islanda, dove al centro dell’impiego le opzioni lavorative sono o diventare uno strongman o fare musica yodel con influenze alt-rock. Grazie a Dio Sauron, anche in mezzo a quelle lande inospitali esistono i clubs e l’alcol, cose che gli architetti notoriamente amano. Poi ci scappa l’incidente, ovvero il destino cinico e baro, altra cosa che gli architetti notoriamente attirano. Fortuna (insomma) vuole che il setting sia una specie di I Know What You Did Last Summer in Mordor, e la cosa rimane tra architetti. Uno dei due, caso più leggendario che raro in quanto pure femmina, ha un discreto successo, l’altro passa una decade di merda tra alcolisti anonimi e internship per fare curriculum, per poi ripresentarsi chiedendo di fare uno stage. Then shit happens, gli architetti lo sanno.
L’elemento black mirroreggiante in questo episodio, un dispositivo per la visualizzazione in remoto della memoria a breve termine, è ridotto ad un accessorio più che ad un tema principale, il thriller alla David Fincher la fa da padrone, come anche i bellissimi esterni e il famoso calore umano tipico dell’Islanda, però è anche uno dei più ambiziosi, attingendo a piene mani all’immaginario di Philip K. Dick (specialmente a Minority Report), e serve come linea parallela di narrazione a quella dell’antagonista, se così vogliamo definirlo/a. Di tutti gli episodi è quello che fa sorgere l’interrogativo più concreto di tutti, quanto siamo disposti a spingerci per il nostro tornaconto personale?
In sintesi: Ottimo thriller di base, sarebbe stato il mio preferito se non fosse che ho trovato così tanto “oltre” l’elemento tecnologico da rendere molto meno attendibile il resto. Apparte il furgone della pizza (quello entro 10 anni lo vedremo, fidatevi).
————
FINE. Della prima parte.
Vista la mole multipla di episodi (e di discorsi), i tre restanti sono posticipati a settimana prossima in un secondo blocco. A presto.
CREDITS: posterini giffati a cura del sottoscritto.