Quattro anni non sono molti ma cominciano ad essere abbastanza nel frenetico mondo odierno. Tanti ne sono passati da “White Lighter”, terzo album dei Typhoon di Kyle Morton: la big band dell’Oregon che dal vivo si aggira sugli undici ““ dodici elementi ma suona come un sol uomo. Sono stati per molto tempo il segreto meglio custodito del Nord Ovest americano, condannati a vivere all’ombra di contemporanei non certo più meritevoli di attenzione ma semplicemente più fortunati. “Offerings” è il loro biglietto da visita per il 2018: un concept album di settanta minuti, quattordici canzoni divise in quattro movimenti (“Floodplains”, “Flood”, “Reckoning” e “Afterparty”) per raccontare la storia di un uomo che perde la memoria e cerca disperatamente di restare se stesso in un mondo poco amichevole, pieno di trappole. Di chi fidarsi sembrano chiedersi i Typhoon, se non puoi nemmeno più affidarti ai ricordi.
Inizia con uno strano, impossibile risveglio “Offerings” e finisce con i dodici minuti di “Sleep”, un sonno che sembra una resa ma in realtà è una celebrazione. Due momenti chiave di un disco pieno di citazioni letterarie e cinematografiche (il Fellini di “Otto e Mezzo” compare più volte) ricco di riferimenti musicali (The Decemberists, Bright Eyes, Beach House, Titus Andronicus) in cui l’indie rock venato di folk dei Typhoon si esprime al massimo del proprio potenziale. Kyle Morton conferma di essere frontman e musicista di talento, capace di scrivere testi di gran complessità senza trascurare melodie apparentemente semplici (“Chiaroscuro”, “Darker”, “Beachtowel”, “Coverings” cantata dalla violinista Shannon Steele) anche quando il sound dei Typhoon diventa più dark e malinconico.
“We have all the information now, but what does it mean?” canta Morton in “Rorschach”, “Everyone is a hostage how we will ever get free” sussurra in “Ariadne” e il mondo di “Offerings” improvvisamente somiglia a quello di una serie come “Black Mirror” nei suoi momenti migliori: distopico e apocalittico, alieno eppure stranamente familiare. Il quarto disco dei Typhoon colpisce per concezione, intensità e poesia ma rischia seriamente di venire penalizzato dalla pubblicazione nella prima metà di gennaio, quando l’attenzione non è al massimo e l’anno appena passato non è stato ancora metabolizzato a dovere.