“Utopia” è un album complesso, in cui mi sono immersa con difficoltà , forse sono io ad avere un periodo di poca concentrazione più adatta ad ascolti più facili, o anche perchè avevo colto delle critiche negative, quelle però che ci sono sempre quando ognuno ha aspettative altissime su un’artista così importante.
“Arisen my senses” ci sveglia i sensi appunto, con pesantezze di percussioni elettroniche, ariosità della voce legate da un’arpa come da un frullio d’ali. In “Blissing me” gli arpeggi continuano, teneri, vivaci e saltellanti, accompagnano una nenia che si ripete e si stratifica in “diverse Bjork“, mentre il tutto viene stranito da rumorismi che si sovrappongono.
Più corale suona “The Gate” e immersa in suoni ‘ambientali’, della natura, scanditi da richiami di specie viventi indefinite e che si possono immaginare rappresentanti di una mitologia aggraziata e minimale, di una bellezza fatta di particolari.La voce e i cori accompagnano con un afflato che sa di antico o fuori dal tempo e sussurrano su morbide profonde aritmie.
Nella title track invadono la scena i fiati e i cinguettini di un paradiso terrestre a cavallo tra oriente e occidente, in parte rumorista e caotico, in parte generativo e fecondo. La successiva “Body Memory” ha un accompagnamento sotterraneo e pacato come lo scorrere dei fluidi nel corpo, gli archi che si tendono come muscoli, flash elettrici che guizzano e sfrigolano.
“Features Creatures” sta sospeso come un racconto di sirena emergente da una roccia o una grotta, portato dal vento e aperto sul mare e sul cielo. Non meno immagini mi provoca “Courtship”, che mi sembra la musica dei diversi ritmi intrecciati tra i vari strati dell’esistente e del vivente, dal sottosuolo che viene battuto e scavato al cielo tessuto con leggerezza. Sono distanze sottilmente connesse, disaccordi che generano armonie inedite e impreviste.
Quando ci si è quasi abituati a godere di una bellezza quasi troppo cantilenante e ripetitiva nell’uso della voce, si viene avvolti dalla nostalgica bellezza di “Loss”. Al traino irresistibile della voce, si passa tra un tappeto di suoni flautato e uno rumorista, come tra luce e buio, vita e morte, piacere e dolore.
Se la natura essenzialmente percussiva di “Sue Me” mi fa vivere una scalata con il cuore in gola, “Tabula Rasa” è una poesia densa dove la sua voce decisamente prende il volo su fiati e violini ondeggianti.
“Claimstaker” è una camminata tuta terrestre e ricca di rimandi tra risonanze interne e esterne, mentre un evento come un arrivo a destinazione che non richieda più parole mi sembra celebrato nella strumentale “Paradisa”.
Infine dopo “Saint” che resta al momento per me un passaggio un po’ indecifrabile e di cui non so cosa dire, sento in “Future forever” pura e densa poesia di un tutto-nulla roteante nel vuoto, come un gigantesco simbolo del tao vagante nel cosmo.
Bjork mi sembra incarnare (anche dalle foto e video legati a questo lavoro) lo spirito della natura, il soffio vitale che pervade tutti allo stesso modo, e l’utopia è forse quella di tornare a percepire questa unità con la natura, tutti i viventi e gli elementi stessi.
La voce sembra a volte usata in modo ripetitivo, cantilenante, circolare, e all’inizio questo mi infastidiva, volevo ascoltare virtuosismi e piacevolezze fin da subito, con ingordigia, e tanto da restare ogni momento a bocca aperta, cose che ritenevo mi fossero “dovute e garantite” ascoltando Bjork.
Ma il mondo naturale non ha storia, è fatto proprio di cicli e ripetizioni ed ogni cosa è allo stesso tempo uguale e diversa dalle altre e nel tempo, e bisogna predisporsi senza fretta a coglierne la bellezza e i particolari. Così mi è successo nell’ascolto (nonostante qualche cinguettio di troppo che potrebbe risultare eccessivamente bucolico e didascalico), e mano a mano in me è cresciuta la valutazione di questo album, che pur non sapendo dire se più o meno dei suoi precedenti, mi azzardo a ritenere già fondamentale, e spero sia molto ascoltato e molto a lungo.
Ritmi e aritmie, armonie e dissonanze, creazioni timbriche, preziosità , elettronica, ma soprattutto una grande capacità immaginifica, se non tutto quasi tutto quello che abbiamo a disposizione per celebrare la bellezza è usato nella musica di Bjork.
Come diceva il romanzo “E venne chiamata due cuori” di Marlo Morgan: “La funzione precipua della voce non è quella di parlare. La voce è fatta per cantare, per celebrare e per guarire”.
Photo: Nick Knight