Non l’avrei mai immaginato. Dopo tanti anni sono ancora qui che cito i Disciplinatha. Ma in realtà non è vero. Loro aleggiano nell’aria, sono alle nostre spalle, silenziosi e compatti, ma, davanti a noi, la nuova immagine è quella dei Dish-Is-Nein. Il percorso di mutazione che ha attraversato tutta la carriera dei Disciplinatha si veste di una nuova immagine, un nuovo inizio che non rinnega il passato, nè i contenuti nè l’iconografia nè i protagonisti, eppure ne vuole prendere le distanze, fin dal nome. La cosa non ci da fastidio, nè ci sconvolge. Il capitolo Disciplinatha è finito con l’album “Primigenia” del 1996. Ma non è morto.
Chi li ha seguiti sin dai primi live e dal primo EP “Abbiamo Pazientato 40 Anni. Ora Basta!”, (Attack Punk Records, 1988) sa bene che la parola cambiamento fa parte del DNA della formazione guidata da Cristiano Santini: un cambiamento musicale in primis ma anche di atteggiamento. Dove l’esordio era provocazione e militanza sbattuta in faccia, i dischi succesivi, (che musicalmente esprimono anche un gusto più eterogeneo, elettronico e sempre più oscuro), mostrano un gruppo assolutamente padrone di gestire le critiche e, mentre sotto ai loro palchi la gente si disorienta e si divide, loro capiscono esattamente come muoversi sul terreno minato della non aderenza al becero trasformismo imperante e della non necessità di polarizzarsi e conottarsi. I Disciplinatha mutano pelle, ma restano magnificamente e caparbiamente loro, si fanno ancora più acuti, sottili, sarcastici, fini, ma non per questo le loro parole pesano di meno, anzi, diventano pietre devastanti. Fino al 1996. Poi il silenzio. Rotto in un momento, con sapienza, con ironia, con un gusto artistico che lascia senza parole (vedere la magnifica raccolta “Tesori della Patria”) e con un unico live che entra di diritto nella storia, con la presenza, on stage, del coro alpino Monte Calisio.
Gennaio 2018, il DNA cangiante (ma mai per convenienza, sia chiaro!) dei Disciplinatha si risveglia e ci porta in dote i Dish-Is-Nein (Santini, Parisini -quanto ci mancavano le tue chitarre Dario!-, Maiani). L’occhio chirurgico della band scruta senza pietà alcuna la realtà che ci circonda e il punto di partenza non può che essere quel mondo nuovo di cui parlavano: “faremo un mondo nuovo e sarai tu a decidere, faremo un mondo nuovo sei stato tu a decidere“. Perchè chi doveva decidere lo ha fatto in modo sbagliato e oggi, intorno a noi ci sono solo macerie. Questa è la triste verità . Non c’è consolazione, nemmeno stavolta, non c’è nemmeno quella rassegnazione che a tratti sembrava emergere in “Primigenia”, ma c’è una lucida e fredda rappresentazione di una realtà in rovina, di una modernità che ha generato solo mostri nel fisico e nel pensiero, in cui ormai conta solo la legge del più forte. Il “No Future” è ora, adesso e noi lo viviamo. C’è chi si gira da una parte e finge di non vedere e c’è chi non solo lo aveva previsto, ma ora senza vanto o boria ci mostra “la verità che avanza“. Disciplinatha mostrava le contraddizioni del presente (fine anni ’80 – metà anni ’90), scavando nel passato e producendo slogan per masse inebetite e plasmabili, Dish-Is-Nein fotografa ancora una volta il presente (anni 2000), martoriato, perdente e disperato. I giudizi? L’artista provoca reazioni, non da giudizi di sorta. Santini e i suoi non giudicano (o almeno, sono così sapienti e abili da non darci l’idea che lo facciano), prendono atto, certo stimolano. Sta a noi decidere se alzare la testa o piegare la schiena.
Dish-Is-Nein è entità gotica, solenne e maestosa (“La Chiave della libertà “), industriale, robotica (“Toxin”), oscura, cupa, sulfurea (“L’ultima Notte”), pesante, marziale, cattiva, spietata (“Macht Frei”), metallica, rabbiosa, incalzante (“Eva”), funerea e apocalittica (“Finale”). Dish-Is Nein è Allen Jourgensen che incrocia Martin Gore, è l’estasi di Trent Reznor che si sublima in Dejan Knez. Produce un Cristiano Santini in stato di grazia assoluta, con una cura ai suoni pazzesca: se abbiamo la pelle d’oca è merito suo. Partecipano anche Valeria Cevolani (voce storica dei Disciplinatha), Justin Bennet, batterista degli Skinny Puppy e, ancora, il Coro Alpino di Monte Calisio.
Noi restiamo senza fiato e senza parole. Chissà se lo spirito dei Disciplinatha ci sorriderà amaramente o resterà ieratico mentre noi, tremanti e purtroppo complici, ci gireremo per capire e per chiedere perchè siamo arrivati a tanto…